Blue Forest: la riforestazione marina parte dalla Sardegna

Progetto Blue Forest

Nelle acque trasparenti di Cala di Volpe, perla della Costa Smeralda, prende forma un intervento senza precedenti per la rigenerazione del mare. Si chiama Blue Forest ed è il più vasto progetto di riforestazione marina del Mediterraneo. L’obiettivo: piantare 80 ettari di Posidonia oceanica, una pianta fondamentale per la vita marina. A guidare l’iniziativa, la One Ocean Foundation e l’Università di Sassari, con il contributo di biologi marini, subacquei professionisti e partner privati.

La pianta che tiene in vita il Mediterraneo

La Posidonia non è un’alga, ma una pianta a tutti gli effetti. Cresce solo nel Mediterraneo e forma praterie sottomarine essenziali per l’equilibrio dell’ecosistema. Queste praterie producono ossigeno, offrono rifugio a numerose specie marine e stabilizzano i fondali. Soprattutto, assorbono CO₂ in grandi quantità e la trattengono per secoli, contribuendo in modo concreto alla lotta contro il cambiamento climatico. Ma è anche una pianta fragile, con una crescita molto lenta, e quando viene distrutta da ancore o inquinamento, ci vogliono decenni per ricostituirla.

Un luogo ferito che torna a respirare

Cala di Volpe, negli ultimi anni, è diventata un simbolo delle pressioni ambientali legate al turismo nautico. Le ancore delle imbarcazioni, gettate senza regolamentazione, hanno letteralmente strappato via intere praterie. Oggi l’area è protetta da un sistema di boe che impedisce l’ancoraggio diretto, permettendo al progetto di partire in un ambiente più sicuro e stabile. Qui la riforestazione marina diventa non solo possibile, ma necessaria.

Dalla scienza, una strategia delicata

La direzione scientifica del progetto è affidata alla professoressa Giulia Ceccherelli, docente dell’Università di Sassari ed esperta di ecologia marina. Il metodo è pensato per rispettare i ritmi della natura: le talee di Posidonia vengono raccolte solo se già sradicate naturalmente o provenienti da semi spiaggiati. Vengono poi impiantate su biostuoie biodegradabili, realizzate in fibra di cocco, e adagiate nei fondali sabbiosi con grande cura. È un lavoro meticoloso, che si misura in centimetri e anni, non in metri e giorni.

Il mare sotto osservazione

Il progetto include un monitoraggio scientifico continuo per almeno tre anni. Vengono utilizzati strumenti all’avanguardia, come sensori acustici, telecamere subacquee e sistemi basati su intelligenza artificiale. Oltre a verificare la crescita della nuova prateria, i ricercatori studiano l’impatto sulla biodiversità e sulle condizioni chimiche e fisiche del fondale. Non è solo un intervento di ripristino, ma anche un esperimento su larga scala che potrebbe fare scuola nel Mediterraneo.

Natura e legge: un’alleanza necessaria

Il progetto Blue Forest si inserisce perfettamente negli obiettivi della Nature Restoration Law, la nuova direttiva dell’Unione Europea che impone agli Stati membri di ripristinare almeno il 30% degli habitat degradati entro il 2030. La Posidonia è una delle priorità assolute: la sua scomparsa significherebbe la perdita irreversibile di interi ecosistemi costieri.

Il pericolo invisibile della plastica

Oltre agli ancoraggi, la Posidonia deve affrontare un altro nemico: la plastica. Secondo le stime delle Nazioni Unite, ogni anno finiscono nei mari oltre 11 milioni di tonnellate di rifiuti plastici, e nei fondali si accumulano microplastiche difficili da rilevare ma letali per la fauna marina. Cala di Volpe, come molte altre zone turistiche, è esposta a un overtourism che mette sotto pressione l’intero equilibrio ambientale. Ripristinare la vegetazione sottomarina è anche un modo per rafforzare la resistenza naturale del mare a queste minacce.

Un fronte comune per il mare

Il progetto non vive solo di scienza: è sostenuto da un’alleanza tra ricerca, istituzioni e imprese. Aziende come Pirelli e Smeralda Holding hanno investito risorse economiche e logistiche per favorire la riuscita dell’intervento. Il Consorzio Costa Smeralda, attraverso il presidente Renzo Persico, ha promosso regolamenti per proteggere i fondali e sensibilizzare i diportisti. È un modello virtuoso di governance ambientale, dove interessi diversi si incontrano per un obiettivo condiviso.

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