Dina Dore: l’ultimo respiro nel silenzio di Gavoi

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C’è una luce accesa nel garage di una casa a Gavoi, un paese incastonato tra le montagne della Barbagia. Un luogo dove alcuni segreti si tramandano come preghiere maledette. È un paese che sa tutto di tutti. O almeno così si dice. È un posto in cui il tempo scorre lento, scandito dai rintocchi delle campane. Un paese che osserva, ascolta, e qualche volta non parla. La notte del 6 marzo 2008 Gavoi trattiene il respiro.

Una serranda alzata, un garage buio

L’orologio segna le 21,30. Gavoi dorme sotto il cielo scuro della Barbagia. Francesco Rocca, 38 anni, rinomato dentista, marito e padre, rientra a casa dopo una lunga giornata di lavoro. Arriva davanti al garage e la prima cosa che nota è la luce accesa. Perché? Non dovrebbe esserlo. Dina non dovrebbe essere in casa, è uscita nel pomeriggio per far visita a sua madre.

Nota che la saracinesca del garage è leggermente sollevata, quanto basta a far filtrare un’ombra incerta. Un senso di inquietudine gli serra lo stomaco. Solleva la serranda. Il cuore gli esplode nel petto: la borsa di Dina è a terra, i suoi oggetti sono sparpagliati. Macchie di sangue chiazzano il pavimento. Lo sportello della Fiat Punto è aperto. Il seggiolino della bambina è stato gettato a terra. Sopra di esso, la loro figlia di otto mesi dorme esausta dopo ore di pianto ininterrotto.

La sua bambina è lì. Ma Dina no. Il respiro si fa corto. Dov’è la donna?

Un corpo nel bagagliaio

Francesco chiama aiuto. La prima ad accorrere è la sua vicina di casa. Lui le affida un compito ben preciso: “Chiama la polizia”. Poi si allontana. Deve trovare Dina. Non può essere sparita nel nulla.
I minuti si trasformano in ore. Le chiamate si susseguono. Francesco avvisa i parenti, sua cognata, la sorella di Dina. Ma lei non si trova.

Gavoi si sveglia nella notte. Le finestre si illuminano, gli sguardi si affacciano dietro le tende. Il piccolo paese è ora teatro di qualcosa di oscuro.
Arrivano le forze dell’ordine. La casa viene ispezionata, il paese setacciato. La macchina nel garage viene aperta più volte. Ma nessuno apre il bagagliaio. Passano cinque ore. Sono le 3 del mattino. Finalmente, qualcuno si decide. La serratura scatta. Il cofano si solleva.

La verità viene svelata: Dina Dore è lì dentro.

Una donna, una madre, una vita spezzata

Dina Dore ha 37 anni. È nata e cresciuta a Gavoi, figlia di una famiglia modesta ma con un cuore grande e una mente brillante. Fin da ragazza è una studentessa scrupolosa. Dopo il diploma si iscrive a Scienze politiche a Sassari, ma il cuore la porta su un’altra strada: l’amore per Francesco Rocca. I due si conoscono da adolescenti. Un legame nato tra le strade di pietra di Gavoi, cresciuto tra le stagioni della giovinezza, consolidato nei lunghi anni di fidanzamento. Si sposano dopo 14 anni di relazione.

Dina lascia l’università e inizia a lavorare nello studio dentistico del suocero, supportando la carriera del marito. Dina Dore è una donna attenta. Osserva, capisce, intuisce. Ma neanche il suo sguardo più vigile avrebbe potuto scorgere l’orrore che l’attende oltre la soglia di quel garage.

Il volto della morte, l’addio di un paese

Il suo corpo è incaprettato, stretto con corde e nastro adesivo, come un animale pronto per il macello. Il volto serrato in una morsa di plastica. Soffocata senza scampo.

Ma l’autopsia rivela qualcosa di più agghiacciante: Dina, prima di morire, è stata colpita alla testa.

Un fendente violento, con un’arma contundente. Forse un machete. Ma non è stato quello ad ucciderla. Dina è morta soffocata. Ha sofferto. Le sue ultime forze le ha spese per cercare aria, per provare a resistere. Un’agonia durata sei minuti. Sei lunghissimi minuti in cui Dina ha sentito sfuggirle la vita mentre la sua bambina piangeva a pochi metri di distanza.

Il giorno del funerale, più di 700 persone affollano la chiesa di Gavoi. Lacrime silenziose, sguardi bassi, domande che non trovano risposta. Chi ha ucciso Dina?

La risposta sembra scontata: un sequestro finito male. La Sardegna ha una lunga storia di sequestri e forse uno di questi è andato storto.

Forse.

Perché c’è qualcosa che stona. Le forze dell’ordine indagano senza sosta, Gavoi trattiene il fiato.

Eppure, mentre il paese piange la sua morte, il vero volto del colpevole è ancora nascosto nell’ombra. Le risposte arriveranno. Ma non saranno quelle che tutti si aspettano.

Il vedovo inconsolabile: Francesco Rocca

Gli inquirenti battono per anni la pista del sequestro di persona. Anche Francesco è una vittima.
Un marito distrutto. Un uomo segnato dalla tragedia. Rilascia interviste, piange davanti alle telecamere, si mette a disposizione degli inquirenti per essere d’aiuto nelle indagini.

Ma qualcosa comincia a non convincere. Gli investigatori iniziano a guardarlo in modo diverso. E quello che scoprono trasforma un vedovo affranto nel più spietato dei carnefici.
Francesco è il figlio perfetto. Suo padre è medico, lui segue le sue orme e costruisce una carriera solida. Diventa un dentista rispettato e ammirato. Poi arriva lei.
Anna Guiso.

Anna ha 22 anni. Arriva per sostituire Dina durante la gravidanza, come assistente nello studio dentistico. Bastano pochi mesi e Anna Guiso diventa l’ossessione di Francesco. All’inizio è solo un gioco. Un flirt. Un capriccio. Ma presto, per lui, diventa molto di più. Dina intuisce tutto, lo caccia dal letto. Francesco prova a rimediare. O meglio, finge di farlo. “Ti amo da morire. Morirei all’idea di perderti.” Francesco scrive d’amore, ma sta già pianificando l’omicidio di sua moglie.

Il castello di menzogne

Dopo il ritrovamento del cadavere, gli inquirenti lo intercettano ovunque: casa, ambulatorio, auto. Ogni chiamata, ogni messagio. Il castello inizia a crollare. Francesco ha nascosto una verità: la sua relazione con Anna Guiso. La loro storia continua anche dopo l’omicidio di Dina. Vengono registrate anche le loro conversazioni. Non sono parole d’amore, ma rabbia e disperazione. C’è un uomo che sente il mondo crollargli addosso: Anna lo vuole lasciare. Francesco non lo accetta. La ossessiona di messaggi. Piange. Si dispera. La minaccia.
Anna ha paura.

“Sinceramente, mi dispiace per come gliel’hanno fatto. Però, è stata una liberazione” scrive Francesco ad Anna. E ancora: “Ha avuto la fine che meritava. Peggio per lei. Io fin dall’inizio ero convinto di passare la mia vita con te. Ora a questo punto che cazzo di senso ha tutto il resto? Farla morire? “E poi quella telefonata ambigua, inquietante, che ha il sapore di un’ammissione di colpa: “Un giorno saprai cosa ho fatto per te, e allora capirai quanto ti ho amato”.

Silenzio. Anna non risponde. Per i magistrati è la chiave processuale.

Chi l’ha scritta conosce l’assassino

Sono trascorsi 4 lunghi anni da quel tragico giorno, dalla morte di Dina. Il tempo passa inquieto tra i sussurri nei vicoli delle strade, certe occhiate diagonali nei bar. Nessuno ha parlato in questi quattro anni, nessuno parla. Per ora.
E arriva il 23 ottobre 2012.

È una mattina fredda a Gavoi, quando Graziella Dore, sorella di Dina, trova un foglio infilato sotto il tergicristallo della sua auto. Una lettera anonima, nessuna firma, nessun mittente. Sono parole scritte di fretta e un elenco di sette nomi. Sette ragazzi.

Ad attirare l’attenzione degli investigatori sono due nomi: Pierpaolo Contu e Stefano Lai. Pierpaolo, Stefano e Francesco si conoscono da tempo, non solo perché il paese è piccolo, ma anche perché vanno a caccia insieme. Francesco li ha portati con sé nei boschi. Con le battute di caccia è nato un legame di fiducia. E se Francesco ha bisogno di una mano per risolvere un problema, sa a chi rivolgersi. Gli investigatori si muovono subito, li interrogano e li pressano.

Una confessione inaspettata

Stefano Lai non è un criminale. È un ragazzo di 18 anni, senza precedenti. Ma da mesi Stefano non dorme più. La sua famiglia lo vede dimagrire, si chiude in sé stesso. Il padre lo incalza e Stefano crolla. Lui sa chi ha ucciso Dina Dore. Sa chi ha pagato per farlo.

Pierpaolo Contu, il suo migliore amico, appena diciassettenne all’epoca del delitto, una sera chiede a Stefano di raggiungerlo in officina. “Non portare il cellulare.” Dice a Stefano. Li tra il metallo e il silenzio, Pierpaolo gli dice la verità: “Ho ucciso io Dina, e ci ho anche preso gusto. Mi ha chiesto Francesco Rocca di farlo”. Pierpaolo non ha ucciso per odio. Ha ucciso per denaro. E Francesco Rocca, il vedovo che ha pianto disperatamente davanti alle telecamere, ha promesso di pagare per uccidere sua moglie. 250 mila euro e una casa a Sant’antioco.

L’ultima mattina di un uomo libero

È una mattina fredda quella del 28 febbraio del 2013. Il cielo di Gavoi sembra presagire qualcosa di irreparabile. Francesco Rocca stringe la mano di sua figlia, una bambina di ormai cinque anni. Camminano insieme, passo dopo passo, fino all’ingresso della scuola. Lui si china, le sistema la sciarpa, le da un bacio sulla fronte. Non tornerà a riprenderla. Gli sguardi fissi su di lui. Le manette che brillano sotto la luce del mattino. Il momento è arrivato. Gli agenti lo stanno osservando da tempo. Le sirene non suonano. Non ce n’è bisogno.

Tre uomini in borghese, lo sguardo di chi sa già tutto. “Francesco Rocca, lei è in arresto per l’omicidio di sua moglie Dina Dore”. Il medico alza gli occhi. Nessun gesto di stupore.
I processi si susseguono. Le prove si incastrano come un puzzle maledetto. E’ il 2018. L’aula è silenziosa. Francesco Rocca è in piedi. Le mani incrociate. Gli occhi bassi. Poi la voce del giudice rompe il silenzio: “Ergastolo”. Dietro di lui, gli sguardi di chi un tempo lo difendeva. Adesso non c’è più nessuno, solo la fine della sua libertà.

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