
Montelupo Fiorentino, inverno 1989. Le pareti delle celle sono screpolate e umide di urla. Non ci può essere redenzione tra quelle mura, solo occhi spenti e rabbia covata. In una stanza spoglia del manicomio giudiziario, tra odore di psicofarmaci e urina, due uomini si scrutano in silenzio. Due destini già segnati. Da quella conoscenza, sottile e inquieta, prende forma qualcosa. Una sintonia malata, un’ alleanza fatta di impulsi, risentimento e abbandono. Due uomini che separati sono solo frammenti ma che insieme diventano detonatori. Nasce una patto, silenzioso e irreversibile. Un accordo firmato con lo sguardo, e nessuno allora, poteva immaginare quanti corpi quel patto avrebbe lasciato dietro di sé.
Montelupo Fiorentino. Una prigione per menti disturbate. Dentro dichiarati incapaci d’intendere e di volere. Lì non si espia, si galleggia, si viene dimenticati. Francesco Sedda ci arriva nel 1986, trasferito d’ufficio dalla Sardegna. Ha il corpo scavato dalla droga e il sangue infetto. E’ dentro per rapine, tentati omicidi, furti, violenza. La mente spenta dalla droga, il corpo già segnato dalla malattia, lo sguardo morto. Non parla quasi mai, mastica rabbia e silenzio.
Bartolomeo Gagliano è lì dentro da anni. Un predatore solitario, un uomo che ha ucciso senza un motivo, in perenne equilibrio tra l’allucinazione e l’odio lucido. Sorride poco e quando succede, Gagliano fa ancora più paura. Si incontrano nel manicomio, si incrociano in cortile, nei corridoi, nelle zone d’aria. Entrambi sanno cos’è il buio, entrambi lo portano dentro. Non è amicizia, è la saldatura tra due disperazioni. Sedda non ha più nulla da perdere, Gagliano non ha più nulla da temere. Due uomini a cui la società ha tolto tutto, tranne la capacità di fare danno.
Francesco Sedda nasce a Nuoro nel 1958 ma il suo cammino si spezza presto. Furti, rapine, estorsioni, risse in strada. Non per gloria ma per rabbia. A vent’anni il suo nome è inciso nei fascicoli della Questura di Nuoro: reati contro il patrimonio, aggressioni, violenze. I reati si fanno più gravi, il carcere diventa una seconda casa. E fuori, la droga comincia a mordere. L’eroina entra nella sua vita come una condanna senza appello. Sedda non si buca per evadere, si buca per annientarsi. Sono gli anni ’80, e Sedda diventa tossicodipendente, sieropositivo, malato nel corpo e nell’anima. È un detenuto problematico, ingestibile, pericoloso anche per sé stesso, un relitto della malavita, la cui violenza si fa sempre più cieca e rabbiosa. La sua non è una storia da leggenda criminale, è una storia di fame e fallimento. Ha l’inquietudine addosso Francesco, che scarica a pugni con chiunque lo guarda storto.
Le autorità capiscono che Francesco Sedda non può più essere trattato come un detenuto ordinario e nel 1986 il giudice dispone il suo trasferimento d’ufficio, dalla Sardegna al manicomio giudiziario di Montelupo Fiorentino, in Toscana. E’ una misura necessaria, diventa non più solo un carcerato, ma un internato psichiatrico: lo Stato lo considera troppo pericoloso per stare in carcere, troppo compromesso per la rieducazione. A Montelupo Sedda trova solo occhi spenti e rabbiosi come i suoi. Ed è proprio lì che Francesco Sedda incontra il mostro sbagliato al momento giusto.
Bartolomeo Gagliano nasce a Nicosia, Sicilia, il 3 gennaio 1958.Da bambino si trasferisce con la famiglia a Savona, nella speranza di una vita migliore. Ma il sogno si spegne presto, Gagliano cresce in un quartiere popolare tra degrado, solitudine e rabbia. Da piccolo è già un’ombra, un bambino cupo, scostante, irritabile. A scuola lo descrivono come “strano”, a casa è spesso violento. Si chiude in se stesso, si isola e si riempie di fantasie disturbanti, turbe sessuali mai curate, paranoia crescente. I primi scatti di violenza vera, arrivano da adolescente: risse improvvise, urla nel nulla e esplosioni d’ira senza motivo. Ma nessuno lo ferma, nessuno lo studia, nessuno lo cura. Lo lasciano a girare per le strade con la testa che ribolle.
Poi il 22 febbraio 1981, la prima esplosione definitiva. In una zona isolata di Savona, lungo una strada secondaria, Gagliano si avvicina a una prostituta. Non cerca compagnia, non contratta, non parla. Con una furia cieca, raccoglie una pietra e la colpisce ripetutamente alla testa. Quando il cranio della donna si spacca, Gagliano continua a colpire, fracassandolo come se volesse cancellare la sua esistenza dalla terra. Non ruba nulla e non scappa ma rimane nei dintorni, a camminare senza meta con le mani ancora sporche di sangue e lo sguardo perso. Lo trovano poche ore dopo, mentre si aggira vicino alla scena del crimine. Non dice perché l’ha fatto, non lo sa nemmeno lui.
Arrestato e interrogato, appare distaccato dalla realtà, non ha rimorsi. Le perizie psichiatriche, eseguite subito dopo, lo dichiarano affetto da schizofrenia paranoide: Gagliano vive sospeso in un mondo di allucinazioni e impulsi incontrollabili, è instabile, pericoloso, è malato. Dichiarato incapace di intendere e di volere, viene internato nel manicomio giudiziario di Montelupo Fiorentino, destinato a uomini che la società ha abbandonato perché troppo pericolosi persino per una cella. Ma anche tra quelle mura, Gagliano non guarisce, anzi, si incattivisce. Tra i malati veri e criminali sedati, diventa il peggiore: minaccia, attacca, sputa, scrive frasi oscene sui muri, cerca di strangolare un compagno di reparto con la cintura della vestaglia. Le cartelle cliniche lo definiscono socialmente pericoloso. Il suo sguardo è di ghiaccio, privo empatia, vuoto come un proiettile. Poi, tra quelle celle marce, incontra Francesco Sedda. I due non hanno nulla da dirsi, eppure si capiscono, la società li ha messi da parte, sperando che sparissero, ma quei due invece, stanno preparando un ritorno. Non alla vita ma alla vendetta.
11 gennaio 1989.
Montelupo Fiorentino si sveglia con l’eco di una serratura forzata. Dentro l’aria è carica di disinfettanti e disperazione. Nel padiglione degli internati giudiziari, si fa colazione all’alba, ore d’aria sorvegliate e visite mediche sbrigative. Gli uomini rinchiusi lì dentro, sono considerati più pericolosi: non solo criminali, ma criminali giudicati incapaci di intendere e di volere. Sono bestie fuori controllo che il carcere normale non sa gestire. Quel giorno qualcosa succede, qualcosa che non doveva accadere. Due internati non rispondono al richiamo, due nomi che messi insieme hanno il volto di una profezia nera: Francesco Sedda e Bartolomeo Gagliano. La scoperta avviene durante il conteggio pomeridiano. Una guardia si accorge che i letti sono vuoti. Scatta l’emergenza. Le porte vengono sbarrate, gli agenti ispezionano ogni cella, ogni corridoio, ogni scantinato. Niente. Nei cortili nessuna traccia di effrazione, niente scavi e niente cancelli forzati. E’ un evasione pulita, silenziosa e impossibile, eppure è accaduta. Avanzano le prime ipotesi: complicità interna, qualcuno deve averli aiutati, forse una guardia corrotta o una distrazione programmata. O forse no. Forse Sedda e Gagliano hanno semplicemente approfittato di quel groviglio di disorganizzazione e incuria che da anni avvelena Montelupo. Ma mentre lo Stato corre per cercarli, loro camminano, a piedi, nascosti. Nessuno sa dove si trovino, né come si stanno muovendo. La fuga è appena cominciata
Sono passati pochi giorni dalla fuga. I due evasi camminano al margine del mondo, come bestie uscite da un incubo, non si nascondono nei boschi, si muovono a piedi, sporchi, affamati, silenziosi. Attraversano la Toscana, risalgono verso nord, senza lasciare tracce. Ma qualcosa bolle sotto la pelle, in particolare dentro Sedda. Nella sua mente la rabbia ha trovato una direzione, è convinto che la malattia che gli scorre nelle vene, l’HIV, sia una condanna inflitta da un mondo che va punito. Nel mirino ci sono: Transessuali, prostitute, emarginati, figure che popolano la notte, che vendono il proprio corpo per sopravvivere e Sedda li vede come simboli di ciò che lo ha distrutto. Gagliano invece non ha bisogno di motivi.
14 gennaio 1989. Genova. Nel buio di un quartiere degradato, un uomo transessuale viene attirato in un luogo isolato, nessuno sente nulla, quando lo trovano, è troppo tardi. È stato colpito con precisione: un proiettile in bocca, a bruciapelo. Il volto devastato, il corpo lasciato disteso sul cemento, in posizione quasi ordinata, come un messaggio lasciato a chi saprà leggere. Nessun segno di segno di colluttazione, nessun furto, niente insulti.
Poche ore dopo. Milano. Altro corpo, altra vittima transessuale. Stesso schema, stessa violenza, stessa firma. Colpo in bocca, ravvicinato. Una forma di giustizia privata, malata, rituale.
Poi arriva il terzo attacco. Una prostituta viene aggredita, pestata, seviziata. Riesce a sopravvivere per miracolo. Quando trova la forza di parlare, descrive due figure: uno taciturno, con lo sguardo assente, l’altro con gli occhi sbarrati e le mani che tremavano prima ancora di colpire. Dice che ridevano. O forse era solo uno a ridere. Le indagini si stringono, la stampa comincia a fiutare l’orrore. I giornalisti parlano di due evasi, di due omicidi identici, gli investigatori incrociano date, orari, tragitti. E tutto porta lì, a Sedda e Gagliano. Ma loro non si fermano. Scompaiono e riappaiono come fantasmi, lasciando dietro solo l’odore della paura. Quella che doveva essere un’evasione, è diventata una caccia. Ma a cacciare sono loro.
Le prime voci sono sussurri tra investigatori, poi diventano telefonate, poi titoli di giornale.
“Evasi dal manicomio, ora sono killer.” “Sedda e Gagliano: la scia di sangue.”
“Caccia all’uomo tra Liguria e Lombardia.” Due criminali scappati da un manicomio giudiziario non stanno fuggendo, stanno uccidendo. Le vittime sono transessuali, prostitute, emarginati. I dettagli raccapriccianti, la modalità esecutiva, la freddezza degli attacchi: tutto parla di un delirio organizzato. I nomi di Francesco Sedda e Bartolomeo Gagliano ora sono sulla bocca di tutti. Le autorità si muovono. Pattugliamenti nei parchi, nei dormitori, nelle stazioni.
Vengono perquisiti appartamenti, sottoscala, treni. I due evasi si muovono di notte, dormano in stazioni dismesse, rubano cibo dai supermercati.
Usano l’istinto, non parlano con nessuno e di nessuno si fidano. Ma qualcosa inizia a cambiare, Sedda è stanco, la droga lo sta mangiando dentro, ha febbre, tossisce sangue, si trascina. Gagliano è agitato, è sempre più paranoico, ha scatti d’ira.
I due litigano, si separano, si riuniscono, ormai tra loro la tensione è un filo scoperto. E cosi, arriva l’errore.
21 gennaio 1989. Un residente ha notato due uomini strani, che dormono nei pressi di un edificio abbandonato vicino a una fabbrica: uno magro, pallido, con la tosse. L’altro nervoso, che fissa il vuoto. Gli agenti li circondano, Gagliano fissa il poliziotto davanti a lui e poi abbassa gli occhi, Sedda si lascia ammanettare. La corsa è finita.
Dopo la cattura, cala il sipario, ma solo per il pubblico. Perché nel silenzio delle celle e degli ospedali psichiatrici giudiziari, l’inferno continua a bruciare. Francesco Sedda viene riconosciuto colpevole, la sua responsabilità negli omicidi è provata, ma le sue condizioni fisiche e mentali sono compromesse.
Viene rinchiuso di nuovo in manicomio giudiziario. Non parlerà più.
Nel 1994, a 36 anni, muore di AIDS. Solo e consumato da ciò che aveva nel sangue.
Bartolomeo Gagliano, invece, continua a vivere. Nel manicomio è sempre lo stesso: instabile, pericoloso, freddo. Poi viene trasferito in carcere perché il sistema non sa più dove metterlo.
Ci resta per decenni, ma il fuoco che arde dentro di lui non riesce a spegnersi. Nel dicembre 2013, mentre è in semilibertà nel carcere di Genova Marassi, Gagliano fugge di nuovo. Stavolta approfitta di un permesso lavoro, sale armato su una Panda armato, e sparisce. Le autorità lo inseguono per giorni, la paura è che possa ricominciare a uccidere, ma non succede. Dopo tre giorni, viene arrestato a Menton, in Francia, a due passi dal confine italiano con la Liguria.
È disarmato e stanco, lo riportano in carcere. Due anni dopo, nel 2015, Bartolomeo Gagliano, si impicca nella sua cella, con una corda fatta con le lenzuola. Aveva 57 anni.
www.sardegnanotizie24.it
è un marchio della testata giornalistica Sardegna Eventi24
registrato presso il Tribunale di Sassari n° 1/2018
Editore: Rosso Digitale
Direttore responsabile: Gabriele Serra
Coordinatore della redazione: Claudio Chisu
Hosting Keliweb s.r.l – Via Bartolomeo Diaz, 35, 87036 Rende (CS)