Che cos’è l’amor? Giulio Caria e la tragica fine di Silvia Caramazza

Silvia Caramazza

L’amore ha mille volti. Può essere un rifugio oppure una prigione soffocante, salvezza o una morsa letale. Ci sono storie d’amore che non si raccontano con fiori e promesse, ma con paura, terrore, ansia, serrature chiuse dall’esterno e messaggi che non sembrano più scritti dalla stessa mano.

La scomparsa, Bologna, 19 giugno 2013

Marina Gironi e  Maudi Gentile si guardano attorno nervosamente, le porte della questura si aprono, si avvicinano al banco delle denunce. Sono dieci giorni che Silvia  Caramazza, la loro cara amica, non risponde alle chiamate. Però sta succedendo una cosa alquanto strana: risponde ai messaggi ma con un linguaggio che non è il suo. Marina e Maudi sono costrette a leggere frasi completamente sgrammaticate, errori di ortografia e parole senza senso. Non può essere Silvia.

“È scomparsa” dice Marina con la voce incrinata guardando le piastrelle della questura. Il poliziotto prende nota: “Da quanto non la sentite?”. “Dal nove giugno – risponde Maudi- ma qualcuno risponde ai messaggi con il suo telefono”. L’agente mette a verbale ogni cosa. Silvia non è la tipa che sparisce nel nulla. È una donna brillante, colta, benestante. Poi c’è lui: Giulio Caria, il suo compagno. Un uomo “terra terra” ossessivo, geloso, possessivo. Le indagini si mettono in moto, ma nessuno è pronto a quello che sta per emergere.

"Latte Versato"

Silvia Caramazza ha 39 anni e possiede un’eleganza innata, si veste sempre con stile, ama la letteratura. È laureata in economia ed è un agente immobiliare. Ma la sua più grande passione è la scrittura tanto che nel 2005 apre un blog: “Latte Versato”. Scrivere la aiuta a dare un senso al dolore soprattutto dopo la perdita della madre: “Mi sento come un naufrago nell’oceano”.

Dopo la scomparsa della madre Silvia si aggrappa ancora di più all’unico punto di riferimento ormai rimasto: suo padre, noto ginecologo bolognese che, ormai, l’Alzheimer trascina lentamente nel buio. Per accudirlo Silvia decide di ristrutturare la sua casa ed è così che conosce Giulio Caria.

L’amore, la sua prigione

Giulio ha 35 anni, è di Berchidda, ha trovato lavoro come muratore a Bologna. Ha messo in piedi una piccola impresa di ristrutturazioni insieme ad un suo amico. Ma Giulio è un truffatore: si insinua nella vita dei clienti e ne carpisce la fiducia. È l’opposto di Silvia: è un uomo rozzo. Però è ma capace di ascoltarla. In un momento di profondo dolore legato alle condizioni del padre, Giulio riesce a strapparle un sorriso. Silvia ha bisogno di qualcuno, si sente sola e abbandonata. Il loro incontro si trasforma subito in una relazione.

La loro storia divampa in fretta: Giulio si trasferisce a casa sua, la sostiene e la fa sentire protetta. Ma il controllo di Giulio verso Silvia comincia ad insinuarsi come un sottile veleno. Le crisi di gelosia aumentano: Giulio vuole sapere dove va, con chi parla e che cosa fa tutto il giorno. Silvia comincia a soffrire di attacchi d’ansia a causa dei continui litigi con i suoi cugini che non condividono la scelta di lei di trasferire il padre in un istituto. Assume costantemente tranquillanti, sfoga le sue angosce nel cibo e ingrassa a dismisura.

Giulio le propone di far installare delle cimici in casa dei suoi cugini per spiarli ed usare le registrazioni contro di loro. Ma non ce ne sarà bisogno perché a dicembre del 2011 Silvia perde suo padre. Il dolore è straziante. Giulio è l’unico punto fermo rimasto. E lei si fida.

Il panino alla nutella.

Primavera del 2012. Silvia rientra a casa prima del previsto e dato che ha un’ora libera, chiama la sua estetista che arriva subito a casa. Le due donne dovrebbero essere sola ma Silvia percepisce qualcosa di insolito. Come una presenza. E infatti appena l’estetista va via, Silvia sente un rumore provenire dalla camera da letto. Apre l’armadio. Giulio Caria è lì dentro, rannicchiato, con un panino alla nutella in mano. Questo è un segnale. È il segnale che dovrebbe farle capire tutto: Silvia deve scappare. Ma non lo fa. Ormai è intrappolata in una spirale tossica e Giulio la sta lentamente isolando dal mondo.

Il 6 gennaio 2013 la situazione degenera. Giulio chiude in casa Silvia mentre gli operai lavorano per terminare le ristrutturazioni della casa. Non vuole che la vedano. La controlla, la minaccia, le impedisce di respirare. Silvia è allo stremo. A maggio la ragazza scopre qualcosa di agghiacciante: la casa è invasa da cimici e da microspie. Giulio nega ogni responsabilità e dà la colpa ai cugini con cui non hanno un buon rapporto. Le crisi d’ansia aumentano e aumentano anche i chili.

Il rifugio

A maggio del 2013 Silvia fugge a Pavia a casa della sua amica Claudia. Quando Claudia la incontra, capisce che non è più lei. È ingrassata, si muove in modo diverso. Ha lo sguardo spento. “Silvia, devi lasciarlo!”. Silvia non risponde. Quella decisione non dipende più da lei.

Il telefono squilla senza tregua. Giulio è ossessivo. Arriva una tempesta di chiamate, decine, centinaia di messaggi. “Silvia, ti sta manipolando” Claudia la avverte, è preoccupata. Il 6 giugno succede qualcosa di terribilmente strano: Giulio, fingendosi un vicino, chiama il pronto intervento gas, segnalando una fuga nell’appartamento di Claudia. Silvia deve liberarsi di lui. Per la prima volta è convinta. Vuole tornare a Bologna e chiudere definitivamente quella porta ma non sa che sta andando incontro al suo assassinio.

Il freddo dell’addio

È il 9 giugno del 2013. Silvia ha deciso di affrontare Giulio e gli dice che vuole lasciarlo. Lui non accetta la fine della relazione, la rabbia esplode. Prende un attizzatoio e la colpisce con una violenza inaudita, per sette volte, sul viso. La massacra ma Silvia respira ancora. E l’orrore non finisce qui: Giulio le strappa un anello dal dito, prima fratturandolo e poi scarnificandolo mentre è ancora in vita. Infine, tutto si compie: la ragazza muore.

La mattina dopo, Caria ordina un congelatore a pozzetto, c’è questo pensiero lucido e agghiacciante che brilla nella sua mente come una moneta che affonda sott’acqua: nascondere il corpo per un po’ e poi farlo sparire pezzo dopo pezzo. Ordina un nuovo materasso e ricopre di vernice le macchie di sangue presenti sul muro. 

La scoperta dell’orrore

Esattamente dieci giorni dopo, le amiche di Silvia vanno in questura e denunciano la sua scomparsa. Le forze dell’ordine iniziano le indagini e arriva il giorno in cui entrano nella casa di Silvia e Giulio. È il 27 giugno del 2013. Lui non c’è. Dentro una stanza, chiusa a chiave, gli agenti trovano un freezer bloccato da un lucchetto. Lo aprono. Dentro c’è Silvia, in posizione fetale, avvolta da due sacchi neri e da un gelo che rappresenta l’orrore della sua fine.

La caccia all’uomo

Giulio ha organizzato tutto, anche la fuga. Fugge in Sardegna con la macchina di Silvia. La sua Yaris grigia viene trovata abbandonata. Dentro: attrezzi metallici, un trolley, del nastro adesivo e alcune foto della ragazza. La faccia di Giulio è su tutti i telegiornali: è ricercato, si muovono anche gli elicotteri. Per Caria la fuga è finita. La polizia lo scova nelle campagne vicino Padru. Lo arrestano, lui si dichiara innocente ma le prove parlano chiaro.

La forza delle donne

Giulio Caria viene condannato a trenta anni di carcere, per omicidio aggravato da stalking e crudeltà. In prigione diventa ingestibile. Devasta la cella, si taglia, ingerisce soda caustica tentando il suicidio, aggredisce guardie e infermieri.

Silvia ha perso i genitori troppo presto e le è quindi mancato il sostegno della famiglia, ha avuto delle vere amiche. Al suo funerale non c’è silenzio, solo una canzone: “Che cos’è l’Amor” di Vinicio Capossela, la canzone preferita di Silvia. La stessa domanda che Silvia si era sempre fatta.

La voce di Silvia, quella vera, continua a vivere nei suoi scritti, nel suo blog e nelle parole delle amiche che non l’hanno mai dimenticata.

prova
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