Crisi sanità in Sardegna: il Governo ferma la proroga ai medici in pensione

Medicina

Il Consiglio dei Ministri ha impugnato la legge regionale della Sardegna del 31 gennaio 2025, che permetteva ai medici di famiglia in pensione di continuare a esercitare fino al 30 giugno dello stesso anno, nel tentativo di tamponare la grave carenza di personale nella medicina territoriale. La decisione, presentata dal Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie, Roberto Calderoli, si basa sulla presunta incostituzionalità della norma, in particolare sulla violazione dell’articolo 117 della Costituzione, che affida allo Stato la competenza esclusiva in materia di ordinamento civile.
La notizia ha sollevato un’ondata di preoccupazione e critiche nell’isola, dove da anni si combatte una battaglia silenziosa ma drammatica per garantire l’assistenza sanitaria di base ai cittadini. Secondo i dati del 2024, in Sardegna si contavano ben 544 sedi vacanti di medici di medicina generale, un numero che riflette una crisi strutturale aggravata dall’invecchiamento del personale, dalla difficoltà di attrarre nuovi medici nelle aree periferiche e da una geografia complessa che ostacola l’accesso ai servizi.

Un territorio fragile e dimenticato

In Sardegna, il problema della sanità non è solo numerico, ma territoriale e sistemico. I piccoli comuni dell’interno, le zone montane e quelle più isolate vivono una desertificazione medica che mette a rischio la salute pubblica. Nei paesi dell’Ogliastra, del Nuorese e dell’Oristanese, capita sempre più spesso che i pazienti debbano percorrere decine di chilometri per una visita o una ricetta, con tempi di attesa che si allungano e cure che si fanno meno tempestive.
“La decisione del Governo è incomprensibile e rischia di aggravare una situazione già al limite,” ha dichiarato un portavoce dell’Assessore regionale della Sanità, Armando Bartolazzi.“Non si tratta di aggirare la legge, ma di rispondere a un’emergenza reale con strumenti temporanei e mirati.”

Soluzioni tampone e tensioni istituzionali

Già nel maggio 2023, la Regione aveva cercato di far fronte alla crisi aumentando, su base volontaria, il numero massimo di pazienti per medico fino a 1.800 assistiti. La norma impugnata a gennaio 2025 rappresentava un ulteriore sforzo per non interrompere la continuità assistenziale, in attesa dell’assegnazione di nuovi incarichi. Ma la Corte costituzionale, se interpellata, potrebbe confermare la linea del Governo, ribadendo il primato statale su certe materie.

Eppure, questo scontro giuridico apre una riflessione più ampia: fino a che punto le Regioni possono agire per proteggere la salute dei propri cittadini quando lo Stato non riesce a garantire risposte tempestive? È una domanda che va oltre i confini sardi, toccando un nervo scoperto dell’Italia post-pandemica: il progressivo svuotamento della medicina di prossimità e la crescente frattura tra centro e periferia.

La salute come diritto (anche nelle isole)

L’ impugnazione della legge sarda solleva infine un tema cruciale: l’equità nell’accesso alla salute. Se la geografia della Sardegna richiede soluzioni flessibili e locali, le rigidità costituzionali non dovrebbero trasformarsi in ostacoli all’efficienza. In gioco non c’è solo un conflitto tra livelli istituzionali, ma il diritto dei cittadini, specialmente quelli più vulnerabili, a ricevere cure adeguate e tempestive.

Nel frattempo, i sindacati dei medici e le associazioni dei pazienti lanciano l’allarme: senza interventi concreti, il sistema rischia il collasso. E in molti si chiedono se davvero, in nome della forma, si possa sacrificare la sostanza.

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