DICE MONTALBANO. I giochi della tradizione popolare in Sardegna

Giochi popolari

Chissà quanti di voi hanno partecipato a questi antichi giochi della nostra cultura popolare.
Chie t’hat puntu?
Questo gioco si faceva in gruppo: uno si sedeva su una sedia e tappava gli occhi a un altro. Un membro del gruppo pizzicava qualcuno e poi tornava al suo posto. Quello seduto chiedeva: “Chie t’hat puntu?” e l’altro rispondeva: “S’alza”. Poi si chiedeva: “Puite?” e “Po ti sanare”, cioè “Puoi?” e “Poi ti curi”.
Il ragazzo che era inchinato si spostava in mezzo al gruppo e sceglieva qualcuno, dando così inizio a un gioco di attenzione e intuito.
Muscòne
Anche questo era un gioco di gruppo. Uno appoggiava una mano sul viso e l’altra sotto la spalla. Uno del gruppo, stando dietro, dava un colpo alla mano nascosta sotto l’ascella. Il protagonista doveva indovinare da chi proveniva il colpo, mentre gli altri giravano attorno a lui e, con l’indice sollevato, facevano il “moscone”. Se indovinava chi aveva colpito, si scambiavano i ruoli; altrimenti, lui rimaneva ancora nell’angolo con la faccia coperta.
Garigi
In questo gioco si usava “sas laddarasa” (una pallina di vetro o terracotta). Si scavava un buco nella terra e, a turno, si lanciava la pallina cercando di farla entrare nel buco. Se ci riusciva, si guadagnavano tre punti. Poi si passava la pallina al compagno, che cercava di avvicinarla a un’altra pallina chiamata “ceddare”. Se la differenza tra le due palline era di tre palmi, si ottenevano altri tre punti. Si continuava così fino a raggiungere ventuno punti.

Sa Murra

Questo gioco si faceva in gruppi di 2 o 4 persone. Due giocatori si sfidavano estraendo le dita del pugno chiuso e dicendo un numero superiore a quello che avevano estratto. Il massimo era 10. Si sommavano tutte le dita e chi indovinava il totale otteneva un punto. Poi si passava il turno a un altro del gruppo.
Purtroppo, questo gioco era vietato dalla legge perché a volte degenerava in risse, specialmente nei magazzini o in campagna, quando qualcuno non voleva perdere. C’erano giocatori molto abili che riuscivano sempre a vincere, perché sapevano pronunciare velocemente e ritmicamente i numeri, tenendo anche il conto con grande maestria.
Oggi si pratica ancora, ma solo durante le feste rurali o tra giovani più attaccati alle tradizioni paesane. Il punteggio va da 16 a 21, con uno spareggio finale.
Sa Bàttida
Uno dei tanti giochi che si praticavano in passato era “sa bàttida”. Questo gioco consisteva nel prendere una monetina e lanciarla contro il muro, con tutta la forza. Poi la stessa persona rilanciava un’altra monetina cercando di farla cadere a un palmo di distanza dall’altra; chi riusciva a toccare le due monetine con le dita vinceva la partita, e tutte le altre monetine che c’erano in terra, e chi non ci riusciva a perdere le proprie monetine.

Sa Baldofula, la trottola

Ecco come si svolgeva: si disegnavo un cerchio sul terreno, chiamato “su parottu”, e al suo interno si metteva una trottola. Questa trottola era facile da costruire: ogni ragazzo la faceva da sé, usando il legno più resistente, come quello d’ulivo.
Per farla, si prendeva un pezzo di legno lungo circa 6-7 cm e largo 4-5 cm. Con un coltello si modellava una punta, dove si infilava una vite. Poi, si arrotolava un laccio di pelle (detto “corria”) intorno alla trottola. L’estremità di questo filo veniva passata tra l’anulare e il mignolo, e con un gesto si lanciava la trottola capovolta: il laccio si slegava e la trottola iniziava a girare.
Gli esperti del gioco riuscivano a “piscare”, cioè a farla girare sulla mano, farla salire sul braccio e farla girare sull’unghia.
Il gioco vero e proprio consisteva nel colpire la trottola per farla uscire dal cerchio, un’azione chiamata “binzicorrare”. Chi riusciva a far uscire la trottola vinceva e poteva far mettere la propria trottola nel cerchio a un altro partecipante. Se invece non ci riusciva, perdeva e doveva mettere la sua trottola.
Un altro gioco con la trottola era “Parottu”: si tracciava un cerchio sul terreno e al centro si metteva un sasso. I partecipanti cercavano di colpirlo; chi riusciva a farlo, sceglieva chi tra gli avversari doveva mettere la propria trottola al posto del sasso. Poi, si continuava a colpire le trottole fino a che qualcuna non si rompeva o veniva tirata fuori dal gioco.

Ispropriare

Ispropriare. I giocatori disegnavano un cerchio sul terreno e lo dividevano in parti uguali. Si lanciava un coltello nel campo avversario. Se rimaneva infilzato nel terreno, l’avversario doveva cedere un pezzo del suo terreno al vincitore, che aveva diritto a un altro tiro.
Serattù, serattù
“Serattu, serattu in domo de su attu, in domo de su mere serattu mi chere”. Si giocava nei pilastri della piazza e il gioco consisteva nel cercare di rubare il posto agli altri. Si giocava dispari, con uno che rimaneva fuori e doveva cercare di prendere il posto degli avversari, mentre questi ultimi si scambiavano di posizione tra loro.
Sa Turre
Era un gioco pericoloso nel quale si richiedeva forza fisica. Per primi si disponevano in piedi i più robusti, e sopra di questi (sempre in piedi) se ne disponevano altri sempre in numero minore fino a rimanerne uno. Si doveva rimanere così per più tempo, fino a quando qualcuno cedeva.
Sedda Murra
Si svolgeva nelle feste popolari in campagna con 8 ragazzi, divisi in due squadre. Dopo un sorteggio, una delle due squadre si disponeva in posizione di “sedda”: i componenti si abbracciavano tra loro, con le teste unite e le schiene piegate in avanti.
L’altra squadra mandava un giocatore a saltare in groppa a un avversario, pronunciando la formula rituale: “Sedda murra” seguita dal nome del ragazzo su cui avrebbe dovuto saltare. Se tutti i componenti della squadra riuscivano a saltare senza sbagliare, il turno si ripeteva allo stesso modo.

Luna Monta

Luna Monta
In questo gioco uno dei ragazzi si piegava a terra, mentre gli altri dovevano saltargli sopra. Se chi saltava toccava accidentalmente il compagno piegato, i ruoli si invertivano: chi era sopra andava sotto, e viceversa.
Chi stava sotto poteva decidere se alzarsi o abbassarsi, cercando di far cadere il saltatore sull’altro lato, in posizioni prestabilite (con le gambe o le braccia incrociate, ad esempio).
Il primo giocatore recitava una filastrocca, che gli altri dovevano ripetere durante il salto:
“Luna monta,
due monta il bue,
tre la figlia del re,
quattro particolare,
cinque incrociatori,
sei in crocetto,
sette speronette,
otto gigiotto,
nove il bue,
dieci un piatto di ceci,
undici per mezz’ora,
dodici tutta l’ora,
tredici fazzoletto.”
Sos Chilcos
Un gioco molto amato era quello chiamato “Sos chilcos”. I bambini rubavano ai genitori i cerchi di legno delle botti, vi attaccavano un pezzo di ferro come guida e iniziavano a correre, facendo molto rumore e gareggiando tra loro.
Sos Caddos de Canna
In passato, quando non c’erano giocattoli a disposizione, i bambini li costruivano da soli. Un esempio erano “sos caddos de canna”, bastoni di canna di circa un metro usati come cavallini. Li infilavano tra le gambe e facevano corse immaginando di cavalcare.
Un altro gioco consisteva nella costruzione di carri con la “ferula” (una pianta locale): ai carri venivano aggiunti buoi, anch’essi realizzati con lo stesso materiale.

S’Iscradiadolzu

Si svolgeva su una discesa ripida. Si prendeva metà foglia di fico d’India, con la parte interna scivolosa rivolta verso il suolo. Sopra vi si metteva una tavola di legno, o un pezzo di tronco dello stesso fico d’India detto “su seddone”, su cui i bambini si sedevano per scivolare giù. Il gioco spesso finiva con i pantaloni strappati e i bambini “impeddonadosu”, cioè sporchi e malconci.
Sa Filligada
Si giocava solo nel periodo delle castagne. Si andava a raccoglierle nei boschi, poi si accendeva un fuoco sopra una pila di castagne adagiate sul terreno. Quando le castagne erano cotte, si spegneva il fuoco e le si copriva con felci. Ogni partecipante doveva mangiarne il più possibile tenendo in equilibrio una pietra sulla testa. Se la pietra cadeva, il giocatore veniva squalificato.
Sas Ispillas
E’ un gioco che utilizzava semplici spille, preferito dalle bambine. Si mettevano le spille in un cesto chiamato pischedda ‘e uddire, lo stesso usato per lavare i panni. Sopra le spille veniva versata della crusca e il tutto veniva ben mescolato.
A ciascuna bambina veniva poi dato un pugno di crusca, da cui doveva cercare di recuperare la propria spilla. Successivamente, due giocatrici prendevano le rispettive spille e le mettevano su un piano o direttamente a terra. Soffiando sulle spille, cercavano di sovrapporle a forma di croce.
Chi riusciva vinceva entrambe le spille, ma doveva restituirne una per continuare il gioco. Vinceva la bambina che conquistava tutte le spille.

Sa Puppia

“Sa Puppia” era la bambola con cui le bambine giocavano, costruita a mano con ciò che avevano a disposizione, soprattutto vecchi stracci. Per realizzarla, si arrotolava uno straccio che fungeva da corpo e testa; per evitare che si srotolasse, lo si cuciva saldamente. Gli occhi erano cuciti con filo bianco, il naso con un piccolo punto nero, mentre la bocca era realizzata con del filo rosso. I capelli si facevano cucendo dei fili di grano sulla testa. Le braccia venivano fatte con un altro straccio arrotolato e cucito a croce sul corpo.
Tirone
Il “Tirone” era un gioco di società che si svolgeva all’aperto. Si tracciava una scacchiera sul terreno e si faceva scivolare, con un piede solo (l’altro sollevato), un coccio o una pietra. Se il coccio si fermava sulla linea che delimitava una casella, quella casella diventava proprietà dell’avversario. Il gioco si complicava man mano, poiché bisognava saltare le caselle conquistate dagli altri durante il turno successivo.
Cua Cua
Era un gioco molto amato dalle bambine e dai maschi. Un giocatore si metteva rivolto al muro, coprendosi il viso con le mani, e iniziava a contare mentre gli altri si nascondevano. Una volta finito il conteggio, gridava: “Tres trese, chie non este cuadu chi si cuede”
(Tre e tredici, chi non c’è si vede), e andava a cercare gli altri.
Se trovava qualcuno, partiva una corsa verso il muro per toccarlo dicendo “tres trese”. Se il cercatore toccava il muro per primo, l’avversario diventava il nuovo cercatore.

Su Giogu 'e sos Olzoso

Questo era un gioco tradizionale che si faceva la notte di Capodanno, in attesa della mezzanotte. Veniva utilizzato come una sorta di rito per capire se due persone si volevano bene.
Per giocare servivano una ciotola d’acqua e due semi d’orzo. Si faceva ruotare l’acqua con un dito, poi si gettavano delicatamente i due semi nell’acqua, facendoli galleggiare nel vortice. A ogni seme si attribuiva il nome di una persona.
Se, dopo un po’, i semi si fermavano uno accanto all’altro, significava che quelle due persone si volevano bene. Se invece si allontanavano o finivano in angoli opposti della ciotola, allora non c’era affetto reciproco.

prova
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