Donazione di organi, Sardegna al 72,8%: il professor D’Antonio spiega il legame tra salute e comunità

Il professor Lorenzo D’Antonio

Con un tasso di assenso del 72,8% alla donazione di organi, la Sardegna ha registrato nel 2024 uno dei dati più alti d’Italia. Un risultato che non rappresenta solo una vittoria per la sanità pubblica, ma anche un segnale profondo di maturità culturale e coesione sociale. A spiegarlo è il professor Lorenzo D’Antonio, medico e Direttore del Centro Regionale Trapianti della Sardegna, che sottolinea come il successo dell’isola vada letto alla luce del forte legame tra cittadini e comunità locali. “Donare non è vissuto come un obbligo, ma come una scelta naturale, condivisa, quasi comunitaria. È questo che rende la Sardegna un modello per tutto il Paese,” afferma D’Antonio.

La rete invisibile

La Sardegna è una regione che vive quotidianamente le difficoltà legate alla geografia, alla dispersione dei centri abitati, alla carenza di personale sanitario e alla chiusura o ridimensionamento di strutture ospedaliere. Eppure, proprio in questo contesto, nel 2024 sono state raccolte oltre 95.000 dichiarazioni di volontà alla donazione, con un tasso di consenso superiore di quasi 10 punti percentuali rispetto alla media nazionale (63,7%). Per il Dr. D’Antonio, questo dato apparentemente in controtendenza non è un’anomalia, ma il riflesso di una cultura civica radicata. “La risposta della Sardegna è chiara: dove mancano le strutture, risponde la comunità. Dove lo Stato è debole, la fiducia tra le persone regge.”

Burocrazia e umanità

Dal 2015, grazie a una norma introdotta dal governo Renzi, è possibile esprimere la propria volontà alla donazione di organi al momento del rilascio o del rinnovo della carta d’identità. La misura ha semplificato il processo, ma ha avuto impatti molto diversi sul territorio nazionale. Nelle grandi città, dove la relazione con l’amministrazione è spesso impersonale, i tassi di consenso rimangono bassi. In Sardegna, invece, l’efficacia della norma è legata a un fattore umano che resta centrale.
“In molti comuni dell’interno, l’operatore dell’anagrafe è un volto familiare, un vicino di casa. Questo trasforma un atto burocratico in un momento di relazione vera. In quel contesto, dire ‘sì’ alla donazione diventa naturale,” spiega D’Antonio.

Piccoli centri, grandi scelte

In molti piccoli comuni sardi, le percentuali di assenso superano l’80%. Si tratta di comunità in cui il senso del “noi” è ancora forte, e la scelta di donare è vissuta come un gesto che riguarda l’intera collettività, non solo l’individuo.

“La Sardegna ha una lunga tradizione di generosità silenziosa,” osserva il Dr. D’Antonio. “Qui il dono è un atto collettivo. È parte di un’etica quotidiana, trasmessa da generazione in generazione. Non nasce da una campagna pubblicitaria, ma da un senso condiviso di responsabilità.”

La cultura del tempo e della continuità

Non è un caso che proprio in Sardegna, una delle cinque “Blue Zones” del mondo, la popolazione viva più a lungo. Circa il 23% dei sardi ha più di 65 anni. Qui, l’invecchiamento non significa marginalizzazione, ma rappresenta una posizione di centralità nella vita collettiva. La morte non viene vissuta come una rottura, ma come un passaggio naturale del ciclo della vita.

“Il nostro rapporto con il tempo è diverso,” afferma D’Antonio. “Qui si vive lentamente, ascoltando, partecipando. Le generazioni si parlano, si cercano. Donare un organo è una forma di continuità. È il modo con cui si dà valore alla vita anche oltre la propria fine. È un gesto che parla di cultura, di rispetto e di futuro.”

Una lezione che parte dalla periferia

Il caso Sardegna mostra come l’efficacia di una politica pubblica – anche ben costruita – dipenda dal contesto sociale e umano in cui viene applicata. Il dato numerico è importante, ma ciò che lo rende significativo è la qualità del gesto che esprime.

“La donazione, qui, è una forma di resistenza civile,” conclude il Dr. Lorenzo D’Antonio. “È la risposta di una comunità che sceglie di prendersi cura degli altri anche nei momenti più difficili. È un messaggio forte, che parla di fiducia, di coesione e di speranza. Ed è un esempio che l’Italia intera dovrebbe ascoltare.”

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