
Ci sono nomi che portano con sé storie di coraggio, di dovere e di vite spezzate troppo presto. Nomi che non meriterebbero di cadere nell’oblio. Emanuela Loi è uno di questi. Una ragazza con sogni semplici e un sorriso luminoso.
Ma il suo destino è già scritto dentro una storia più grande, una storia di mafia e giustizia, di uomini che hanno deciso di stare dalla parte giusta, sapendo che quella scelta li avrebbe condotti alla morte. Perché essere un agente della scorta di Paolo Borsellino, nel 1992, significa vivere in un conto alla rovescia, in un’attesa soffocante, scandita dalle sigarette fumate in silenzio, dagli sguardi tesi e dalle auto sempre pronte a partire. Emanuela Loi ha solo 24 anni, eppure non si tira indietro. Indossa la divisa e si schiera accanto a un uomo il cui destino è ormai segnato.
Emanuela Loi: una piccola grande donna che sceglie di esserci, che sceglie di credere nel dovere più che nella paura.
Lago di Garda, 19 luglio 1992.
Claudia Loi passeggia con un’amica tra le stradine assolate. È un pomeriggio d’estate come tanti, il sole scalda l’asfalto e il vento increspa l’acqua del lago. Poi vede una chiesa. Entra. Il silenzio dentro è irreale, spezzato dal crepitio delle candele accese. Pensa a sua sorella, Emanuela. È lontana, a Palermo. Le viene voglia di scriverle una cartolina. Si ferma, cerca di ricordare l’indirizzo, ma non lo sa. Prende il telefono, compone il numero di casa. Dopo pochi squilli, risponde la madre. La voce è spezzata, concitata. “Manuela! Manuela!” “Mamma, sono Claudia!” Poi un silenzio lungo, che gela l’aria. La voce della madre torna, più forte, più disperata. “Chiudi, sto aspettando la telefonata di Emanuela! Non hai sentito? Una strage a Palermo!”.
Claudia resta immobile, il cuore accelera, la testa gira. Non capisce. Corre in albergo, accende la tv, le mani tremano.
Le immagini esplodono sullo schermo: una strada devastata, auto in fiamme, fumo denso che soffoca il cielo. Un’esplosione, una carneficina. La voce del giornalista è grave, scandisce le parole con lentezza, come se pesassero troppo. Poi, una voce fuori campo: “Attentato a Paolo Borsellino. Uccisi cinque agenti della scorta. Tra loro, una donna”.
Claudia sente un brivido lungo la schiena. Poi il nome: Eman…Non sente la fine della frase. Il mondo si oscura, un boato nella testa, il pavimento si avvicina. Le ginocchia cedono. Sviene. Il mondo scompare.
Emanuela nasce il 9 ottobre 1967 a Cagliari, seconda di tre figli. La sua è una famiglia semplice come tante. Padre operaio, madre casalinga. Una casa senza eccessi, ma colma di amore, di piccoli gesti quotidiani, di quei valori che si tramandano senza bisogno di parole. Cresce a Sestu, un paese che sa di tradizione, di strade che sembrano sempre uguali e di sogni che a volte restano chiusi dentro i confini dell’isola.
Fin da bambina, Emanuela ha la luce negli occhi. Sorridente, solare, piena di vita. Ha un carattere forte, non cerca il protagonismo, cerca la sua strada. Vuole insegnare. Ma il destino ha piani diversi per lei. Quando sua sorella Claudia decide di iscriversi al concorso in Polizia, Emanuela la accompagna. Non pensa che quella possa essere anche la sua strada. Ma poi succede qualcosa. Claudia non supera le selezioni. Emanuela sì.
Senza averlo cercato, ha appena cambiato il corso della sua vita.
Nel 1989, a 22 anni, entra nella Polizia di Stato. Parte per Trieste, destinazione Scuola allievi agenti. Per una ragazza sarda, lasciare l’isola è sempre un piccolo distacco doloroso. Ma Emanuela non si tira indietro. All’inizio, la vita da recluta è dura. Chiama casa quasi tutti i giorni. “Mamma, voglio tornare.” “Resisti, amore mio.” E lei resiste. Perché ha qualcosa dentro che la spinge a restare. Quando finisce il corso, arriva l’assegnazione: Palermo. I genitori impallidiscono. Lei no. Non abbassa gli occhi.
A Palermo c’è la mafia. A Palermo si muore.
Quando arriva in città, Emanuela ha 23 anni. Viene assegnata al Commissariato Libertà, poi entra nell’Ufficio scorte. È una delle prime donne a farne parte. Inizialmente si occupa di vigilanza fissa: per mesi, le sue notti passano davanti alla casa dell’onorevole Mattarella. Mentre lui dorme al sicuro, lei è lì, al freddo, in piedi, sempre attenta. Poi, il salto nel buio: la scorta di Paolo Borsellino. Non dice nulla ai suoi genitori, non vuole farli preoccupare. Sa cosa significa proteggere un uomo come Borsellino.
Emanuela non si tira indietro, parte senza esitare.
Palermo, 19 luglio 1992. Ore 16,58. Il tempo si ferma. Un pomeriggio rovente, l’aria è densa di polvere e asfalto sotto un sole cocente. Paolo Borsellino scende dall’auto blindata, lo sguardo si ferma sul citofono della madre. Forse lo sa che questa è l’ultima volta. Lo ha detto più volte ai suoi uomini: “Sono un cadavere che cammina.” Ma non si ferma. A pochi metri, Emanuela Loi, l’unica donna del gruppo. Piccola, bionda, stringe la pistola. Borsellino alza la mano, suona il citofono.
Un lampo.
La Fiat 126, imbottita di 100 kg di tritolo, esplode. Un boato assordante. Il cuore di Palermo si spezza in un istante. L’onda d’urto sbilancia gli edifici, scaraventa i corpi, spegne cinque vite in una frazione di secondo. Emanuela viene scagliata a metri di distanza. La sua mano stringe ancora la pistola. Ha provato a difenderlo fino alla fine. Cinque vite spente. Il sangue si mescola all’asfalto.
L’Italia cade in ginocchio.
“Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola.”
Lo ripeteva sempre Paolo Borsellino, con la consapevolezza amara di chi sapeva di avere i giorni contati. Lo sapeva lui, lo sapevano i suoi uomini, lo sapeva anche Emanuela, che aveva solo 24 anni e non aveva mai smesso di lottare.
Emanuela Loi morì il 19 luglio 1992, non avrebbe mai potuto immaginare che la mafia l’avrebbe strappata via alla vita con l’esplosione di una bomba.
Ma qualcosa che la mafia non potrà mai cancellare: il suo nome, il suo coraggio.
Oggi ci direbbe di non piangerla, di non sprecarla in parole vuote.
Forse oggi Emanuela Loi ci avrebbe chiesto solo una cosa: non dimenticatemi.
Perché se un giorno nessuno fosse più in grado di ricordare chi era Emanuela Loi, allora sì, la mafia avrebbe vinto davvero.
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