Is Mirrionis: cronaca nera di una Cagliari scomparsa

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Cagliari, fine anni ’80. Un bel pezzo di città si sveglia con i motorini truccati e si addormenta col suono degli spari.
Tra quei palazzi grigi, tutti uguali, il tempo sembra essersi fermato. E ha iniziato a marcire.
Qui non c’è futuro, solo scale consumate, balconi pieni e occhi guardinghi. Lo Stato? Si vede poco, nel commissariato di polizia di via Abruzzi. Le regole le dettano altri. Giovani armati, arroganti, con la rabbia in tasca e la cocaina nel respiro. Qui, se cresci maschio, impari presto come si conquista il rispetto: A colpi di pistola. Is Mirrionis diventa un poligono urbano. Si spara per strada, dai palazzi, sulle auto.
Si colpisce di giorno, davanti a tutti, e nessuno parla. Mai. Sparatorie, bombe davanti ai portoni, corpi spariti per sempre.
È la stagione della banda di Is Mirrionis. Droga, fuoco, vendette, omicidi. E nelle aule del tribunale andrà in scena una verità inedita.

Dove non arriva lo Stato

Cagliari, 1985. Non è la città del sole di Alziator. Nel quartiere di Is Mirrionis i bambini smettono presto di giocare e cominciano a guardarsi le spalle, a scuola ci vai con le scarpe bucate e torni con la paura negli occhi.
Nelle piazze spacciano roba pesante. Girano soldi veri, tanti. Armi, potenti, mitragliette dentro gli zaini Invicta. Le bande non hanno nomi, non ancora. Hanno solo fame e fama di quartiere.
È in questa crepa della città che si formano i clan, uno dietro l’altro: Strazzera, Paderi, Contu-Fanni.
E poi Tidu, Mario Tidu, il nome che inizierà a risuonare come un colpo sparato troppo vicino. In poco tempo, il quartiere si trasforma in una mappa di controllo militare. C’è chi si occupa delle dosi, chi delle consegne, chi delle punizioni. Sono tutti pronti, armati e spietati. Sotto i portici di Saint Tropez dietro via Cadello si organizzano gli appuntamenti, nelle scale si regolano i conti, nei cortili si imparano i ruoli. Una guerra sta per esplodere.

I padroni del quartiere

A Is Mirrionis la mappa del potere comincia a disegnarsi da sola. I capi non si annunciano ma si riconoscono. Per come camminano. Per chi abbassa lo sguardo quando li incrocia. Antonio Strazzera, è il primo a salire in cima. Nel quartiere lo chiamano “Veleneddu”. Ha i contatti, le rotte della droga, i canali lombardi, i legami con la Turchia. Non alza la voce, non ne ha bisogno. Al suo fianco si muovono Andrea Manca, il diplomatico delle bande, e Gigi Paderi, meno parole, più pallottole. Tra loro girano chili interi di eroina e armi fresche di sbarco. La città sembra addormentata, ma il quartiere è già in fiamme. A rompere gli equilibri arriva lui: Mario Tidu.
Non ha legami stabili ma ha qualcosa che fa paura più di tutto: è imprevedibile, è veloce e non sbaglia mai. E mentre nella Cagliari bene si fa l’aperitivo nei bar eleganti, a Is Mirrionis il potere si divide come si spartisce la guerra: a colpi e col sangue.
Intanto, da un’altra scala, si alzano due nomi che si possono pronunciare solo a bassa voce. Elio Contu e Antonio Fanni. Contu è l’ombra, la mente. Telefona a Milano, ordina, organizza, fa sparire.
Antonio Fanni è il braccio: consegna la roba, incassa, picchia, punisce. Hanno stile, rigore, ferocia.
E poi c’è Elio Melis detto “Sa Niedda”, sempre un passo indietro ma mai fuori dai giochi. Elio Melis è uno che ascolta, esegue, osserva. Tidu di lui si fida, gli altri lo temono. Non ha bisogno di parlare per farsi capire.

Il sangue chiama sangue

Il primo corpo non si dimentica mai, nemmeno se si cerca.
È il 4 febbraio 1990. Eraldo Carrucciu, portantino d’ospedale sempre in malattia, sparisce all’alba.
Eraldo è uno come tanti, con troppi debiti, più di gioco che di droga, e ha la cattiva abitudine di parlare troppo. Lo aspettano in tre, lo fanno salire in macchina, lo portano lontano dal quartiere, verso Burcei, vicino alla casermetta della Forestale. Vogliono solo dargli una bella lezione, dicono. Ma Carrucciu si ribella, e allora la lezione si trasforma in esecuzione. Tre colpi, tre uomini, tre silenzi. Lo trovano poco dopo, rannicchiato su se stesso, in campagna.
Buttato via come un sacco di carne usata. Nessuna confessione, nessuno che si pente. Il delitto Carrucciu resterà uno dei gialli insoluti degli anni 90.
Pochi mesi dopo, il sangue chiama altro sangue. 22 aprile 1991.
In una cava di Pirri, vicino alle Fornaci Scanu, dentro una fossa mezza aperta, viene trovato un cadavere: è Mariano Deidda, cuoco cagliaritano emigrato in Olanda, rientrato da poco con affari poco chiari. Due colpi alla testa, calibro 7.65 e nessuna possibilità di errore. Con lui c’era Diego Porcedda, altro cagliaritano di ritorno dall’Olanda. Anche per lui legami nel traffico di droga. Di Porcedda non resta che il sangue nel sedile dell’auto, Il corpo non verrà mai ritrovato. I due, si dice, avevano portato in Sardegna una grossa partita di droga.

Bombe e mitra: la guerra urbana

A Is Mirrionis, i balconi restano vuoti, le voci spariscono.
Adesso Mario Tidu ha un nemico: Andrea Manca. Una storia, finita nel modo peggiore, una storia di droga, soldi, orgoglio. E’ Il 10 giugno 1991, qualcuno piazza una bomba a mano davanti alla porta di Andrea Manca, un attentato in piena regola. Non salta solo un ingresso, salta un equilibrio. Ma chi è Andrea Manca? Ex affiliato, ex socio, ex fratello di sangue. Tidu non dimentica e ora Manca è il nemico, il bersaglio.
L’esplosione devasta l’intero pianerottolo. Ma Andrea Manca non è in casa, a rimanere colpiti sono due ragazzini, figli di Rosa Tavolacci, sorella di Walter Tavolacci, alleato di Manca. I due bambini riportano gravi ustioni su tutto il corpo, non erano loro il bersaglio ma in questa guerra, i colpevoli non chiedono mai scusa.
Il giorno dopo, si torna a sparare, non di nascosto e non al buio, sotto il sole in pieno giorno, davanti a tutti. Via Bosco Cappuccio, da una finestra all’interno di una palazzina, dall’alto, Andrea Manca e Walter Tavolacci rispondono al fuoco. Dal basso, Tidu e i suoi scaricano mitragliette e fucili a pompa. Un intero condominio trema, I bambini piangono mentre le madri si buttano a terra. Sembra Beirut, ma è Cagliari. In via Podgora e via Bosco Cappuccio le palazzine popolari diventate trincee. E’ vero, nessuno muore quel giorno, ma muore una certezza: la convinzione che sia tutto sotto controllo. Da quel momento, ogni scala del quartiere è una potenziale linea di fuoco.

Bar Santropè: cuore oscuro di Is Mirrionis

Il bar si chiama Saint Tropez, ma nessuno lo chiama così. Nel quartiere lo conoscono tutti come “Barsantropè”. Un nome sputato. Si trova alla fine di via Cadello, angolo via Is Cornalias. È un buco, più che un bar è una tana. Da queste parti si ritrovano Strazzera, “Veleneddu”, Paderi, Contu e Fanni e Tidu, il più inquieto di tutti. E poi “Sa Niedda” Elio Melis.
Fuori dal quartiere però nessuno li chiama criminali: vestono firmati, hanno auto potenti e sempre pulite, frequentano locali costosi e sono religiosi.
Vicino al Barsantropè si decide tutto: chi rifornisce chi, chi deve essere “avvisato”e chi deve sparire. A volte basta un’occhiata, si esce, si prende un motorino,
si carica una pistola.
Ma al Barsantropè, la cronaca è già in ritardo.

IL Delitto Stori: fuoco e tradimenti

9 novembre 1991. Una sera come tante, ma per Pietro Stori è l’ultima.
Lo aspettano da giorni, lo seguono, lo studiano. Lo odiano. Perchè Stori ha sbagliato conto e i conti in questo mondo si pagano in fretta. E’ un trafficante di Suelli, pezzo grosso in affari con Elio Contu e Antonio Fanni. Loro di lui si fidano, fanno girare partite grosse da un miliardo e mezzo di lire.
Ma la merce arriva scadente, tagliata male. Stori chiede indietro i soldi , 500 milioni, una bestemmia. Lo cercano per una settimana, si appostano, lo pedinano. Poi lo trovano.
A sparare secondo le sentenze e i pentiti, sono Salvatore Arba e Salvatore Cabiddu, ma i mandanti, le menti sono: Sandro Melis, Giuseppe Mascia detto “Brillanti”, Riccardo Piras. Ognuno di loro legato al mondo di Fanni e Contu. Per giorni il corpo resta invisibile, poi salta fuori. Nessuno si prende la colpa ma nessuno da quel giorno nomina Stori a voce alta.

Fine corsa

E’ il 1993, le sirene non si spengono mai. Le bande sono finite, i capi sono dentro e i gregari o sono morti o hanno cambiato pelle. Ma Is Mirrionis non ha certo dimenticato. Né San Michele, né Pirri.
Poi il colpo di scena: Elio Melis “Sa Niedda”, l’uomo che silenzioso che non parlava mai, ora racconta tutto al pm Mario Marchetti alla dirigente della Mobile, Maria Rosaria Maiorino. Piovono condanne Mario Tidu, Antonio Fanni, Elio Contu, Gigi Paderi, Riccardo Piras. Trenta, quaranta anni, ergastoli. Pene pesantissime.
Is Mirrionis non dimentica anche se sono passati trent’anni. La droga gira sempre ma il sangue non scorre. Anche questa è Cagliari.

prova
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