
Cavi di fibra ottica, strade più veloci, migliaia di posti di lavoro, rilancio dell’università e del turismo: l’Einstein Telescope può rivoluzionare il futuro della Sardegna. Parola di Samuele Resmini, presidente dell’associazione nazionale Giovani Fisici per l’ET: “Non è solo un grande progetto scientifico, è un’occasione concreta di sviluppo per l’isola. Un’occasione che non tornerà”. Con il suo comitato, nato nel 2022, Resmini si batte per informare, fare chiarezza e dare voce a chi, domani, potrebbe lavorare dentro quell’enorme triangolo sotterraneo.
Samuele Resmini, partiamo dall’inizio: perché è importante che anche i cittadini si interessino all’Einstein Telescope?
Non è solo un progetto scientifico per addetti ai lavori: è un’opportunità irripetibile per il territorio. Spesso se ne parla in modo troppo tecnico o frammentario, ma è fondamentale che le persone sappiano cosa comporta davvero.
In che modo questo progetto può incidere concretamente sulla vita delle persone?
Stiamo parlando di una grande infrastruttura che porterebbe sviluppo, occupazione, formazione, collegamenti migliori. E non tra vent’anni: già nei prossimi dieci. Serve consapevolezza collettiva per sostenerla con convinzione, perché se questa occasione passa, non tornerà.
Negli ultimi mesi sono circolate diverse notizie false sull’Einstein Telescope. La più assurda sostiene che per poter ospitare la struttura, bisognerà sgomberare decine di migliaia di abitanti. Come si può contrastarle?
È una fake news priva di fondamento. Il telescopio sarà sotterraneo, a circa 200 metri di profondità, e riutilizzerà in parte gallerie di ex miniere. In superficie non verrà intaccato nulla. Anzi, sarà un intervento sostenibile anche dal punto di vista ambientale, paesaggistico e architettonico.
Esiste un piano ufficiale per garantire questa sostenibilità?
Sì, ed è già in corso. Si chiama progetto Ethic, finanziato anche con fondi del Pnrr. Uno dei suoi obiettivi principali è proprio verificare la sostenibilità ambientale e architettonica dell’intera infrastruttura.
Veniamo ai vantaggi per il territorio. Qual è secondo lei il primo beneficio concreto per la Sardegna?
Direi l’infrastruttura digitale. È già stato firmato un protocollo per portare in Sardegna una rete internet ultraveloce “terabit”, necessaria per l’ET. Ma sarà utile anche per tutto il territorio.
E dal punto di vista dei trasporti?
Anche lì ci sarebbe un salto di qualità. Il sito di Sos Enattos oggi è poco accessibile. Ma con l’arrivo di scienziati da tutto il mondo serviranno collegamenti veloci con gli aeroporti. Questo imporrà di rivedere le infrastrutture viarie e i servizi di mobilità.
L’Einstein Telescope porterà lavoro?
Sì, eccome. Si stimano circa 35.000 posti nei dieci anni di costruzione, tra operai, tecnici, ingegneri. Ma non solo: ogni busta paga genererà altra occupazione nei settori legati all’accoglienza, ai trasporti, alla ristorazione.
Anche l’università potrebbe beneficiarne?
Assolutamente. Nuoro, per esempio, avrebbe bisogno di una spinta. E qual è il luogo migliore per formare persone che poi potranno lavorare lì accanto? La presenza del telescopio potrebbe rilanciare un polo universitario specializzato in fisica, ingegneria e scienze applicate.
E la politica? Sta facendo abbastanza per sostenere questa candidatura?
Sì, e questa è una delle cose più positive. Il progetto ha un sostegno bipartisan e trasversale. Il governo nazionale, le giunte regionali, gli enti locali: tutti si sono dimostrati compatti.
Può fare qualche nome?
Certo. La ministra Bernini, ad esempio, è sempre stata molto attiva. E anche l’attuale presidente della Regione, Alessandra Todde, si sta impegnando con convinzione. Lo stesso vale per la precedente amministrazione regionale. È un raro esempio di unità intorno a una grande visione comune.
A che punto siamo con la selezione del sito? La Sardegna è ancora in corsa?
Sì, siamo in gara con altri siti europei, in particolare nei Paesi Bassi e in Germania. Si sta valutando se costruire un unico triangolo sotterraneo o suddividere l’infrastruttura in due “L”, una per paese.
Quando verrà presa una decisione?
La scelta finale dovrebbe arrivare entro la fine del 2026. E sarà basata su criteri scientifici, perché si vuole costruire l’ET dove la ricerca potrà ottenere i migliori risultati. Noi, nel frattempo, continuiamo a lavorare per farci trovare pronti.
Com’è nato il vostro comitato e qual è il suo ruolo?
L’Associazione è nata nel 2022. Tutto è partito dalla constatazione che se ne parlava troppo poco. Abbiamo scritto una petizione, fatto conferenze, coinvolto studenti e giovani ricercatori.
Che messaggio volete portare avanti?
Semplice: noi saremo la generazione che potrà lavorare in questa infrastruttura. Vogliamo essere parte attiva del processo, non solo per un tema occupazionale, ma perché crediamo nella scienza come leva di sviluppo. E vogliamo raccontare quest’opportunità anche al grande pubblico.
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