
Ci sono uomini che non muoiono mai veramente. Nicolino Selis è uno di questi. È stato l’ottavo re di Roma, lato criminale della Capitale. Boss, trafficante, padre padrone della Banda della Magliana. Carattere tipico della sua terra, la Sardegna. Duro, testardo, determinato, piccolo di statura ma grande nelle ambizioni. Certo, non è il più forte fisicamente, ma ha una dote che pochi possiedono: sa comandare. Si muove con astuzia e prepotenza, stringe alleanze strategiche mettendo a tacere chiunque cerchi di pestargli i piedi. Eppure, come ogni impero criminale, anche quello di Selis è destinato a crollare. Il suo errore? Pensare di poter giocare su due tavoli.
Nicolino Selis nasce a Siniscola il sei giugno 1952, ma già da ragazzino la sua casa diventa il lido di Ostia, dove si trasferisce con la sua famiglia. È basso, tarchiato, ma ha una enorme fiuto per il potere. Il crimine lo attrae come una calamita: comincia con piccoli furti e poi subito rapine e droga. Il salto di qualità arriva con il racket: i commercianti sono costretti a pagare il pizzo e quando qualcuno osa sfidarlo, Selis risponde con il piombo.
Viene arrestato per la prima volta a vent’anni per tentato omicidio plurimo, ma il suo carattere non cambia, la sua indole è sempre più indomabile. È il 19 settembre del 1973, Selis durante la detenzione nel carcere di Rebibbia aggredisce una guardia penitenziaria: la afferra alle spalle mettendole un braccio intorno al collo e tenta di strangolarla, mentre con l’altra mano, armata di un coltello, minaccia di ferire il sergente. Subito accorrono altri tre agenti e il sergente riesce a salvarsi ma Selis lo ferisce ad un orecchio e si scaglia contro gli altri tre. Lo spettacolo impressiona anche i più duri detenuti del Rebibbia, che lo guardano e pensano: “È sardo, è meglio lasciarlo stare”. Selis capisce una cosa: il rispetto non si chiede, si prende.
Nel 1974, in carcere, ha uno scontro con un tizio, Franco Nicolino, detto Franchino “Er Criminale”. Franchino compie un gesto imperdonabile: lo schiaffeggia in pieno volto davanti ad altri detenuti. Er Sardo non dimentica. La sua è una vita fatta di continui ingressi e uscite dal carcere, non immagina affatto che presto sarà alla guida della celebre ‘Banda della Magliana’. Durante uno di questi passaggi finisce al centro clinico di Poggioreale, dove avviene l’incontro destinato a cambiare per sempre la sua vita. Conosce Raffaele Cutolo “O professore”, il boss della Nuova Camorra Organizzata, che in lui riconoscerà un ragazzo dalle forti ambizioni e un uomo di cui fidarsi ciecamente.
Carcere di Regina Coeli, 1975. Nicolino Selis ha 23 anni. “Er sardo” incontra quelli con cui costruirà qualcosa di enorme, ma ancora non lo sa. Sono Antonio Mancini detto: “l’Accattone”; Edoardo “Operaietto” Toscano; Angelo “Er Catena” De Angelis; Gianni “Er Roscio” Girlando; Vittorio “Er Coniglio” Carnovale; Libero Moncone. Il gruppo si allarga, si fonde con la batteria di Franco “Er Negro” Giuseppucci, Enrico “Renatino” De Pedis e Maurizio “Crispino” Abbatino. “Er Sardo” però ha qualcosa che tutti gli altri non hanno: è ambizioso, intelligente e ha stoffa per la malavita. In più, ha un contatto potentissimo come il boss della Camorra, Raffaele Cutolo.
A novembre del 1975, in dodici evadono dal Regina Coeli. Il nucleo fondatore di quella che sarà ben presto la Banda della Magliana è quindi in fuga. Gli evasi si incontrano in libertà e danno vita alla leggendaria coalizione di gangster. La Banda è una nuova organizzazione criminale autonoma, che coinvolge altre due “famiglie” malavitose: i Testaccini e i Malagnesi.
Ma Roma Capitale è un richiamo irresistibile per tutte le altre organizzazioni criminali italiane, comprese quelle del sud: dalla camorra di Cutolo alla mafia siciliana. È gente potentissima, che tiene in scacco l’intera Nazione. Cutolo affida un compito a Selis: per conto del camorrista napoletano, deve impedire alla mafia di fare affari a Roma. E deve riuscirci senza farlo sapere al resto della Banda. Er Sardo diventa così il “capozona” di Cutolo a Roma. Ha iniziato, silenziosamente, a giocare su due tavoli ma questo segreto gli costerà caro.
A Tor di Valle, Franco Nicolini detto “Er Criminale” pensa di essere intoccabile, muove soldi, ha il completo controllo di Roma sud. È il padrone incontrastato delle scommesse clandestine all’ippodromo. Ma ha commesso due gravi errori: il primo è stato schiaffeggiare Selis quattro anni prima, quando si trovavano in carcere. E “Er sardo” non lo ha dimenticato. Il secondo errore, altrettanto grave: ha fregato gente vicina a “Don Raffaele”, e questo ha un prezzo altissimo.
È il 25 luglio del 1978, nel parcheggio dell’ippodromo lo aspettano in sette. L’ottavo del gruppo, Franco Giuseppucci, attende all’interno della struttura sportiva. Hanno due macchine, la 132 rossa e una 131 scura, entrambe rubate qualche giorno prima. Appena si accorge di loro, Franchino tenta di scappare. Troppo tardi. Partono i primi colpi, la fuga di Nicolini viene bloccata dalla 132. Sono nove i proiettili che lo colpiscono: un massacro. Non lasciano tracce. Ora la Banda della Magliana ha campo libero e Selis è più potente.
Er Sardo non si ferma, ad Ostia è lui a comandare, non esiste nulla che non passi sotto il suo controllo. Ma non tutti sono disposti a piegarsi e qualcuno si ribella. È Sergio Carrozzi il primo a opporsi. Carrozzi è il proprietario di una nota boutique di abbigliamento maschile e non vuole pagare il pizzo. E fa di peggio: parla, elenca i nomi alla polizia. Il 29 agosto dello stesso anno, Carrozzi viene trovato morto: due colpi di pistola, uno al volto e uno al petto: è l’orrore di una vendetta improvvisa. Selis è ormai fuori controllo e si sente onnipotente. Troppo sicuro di sé.
Ma la polizia è sulle sue tracce, le forze dell’ordine indagano e un mese dopo l’omicidio di Carrozzi, a 27 anni, Nicolino viene arrestato. E in questo periodo Selis viene coinvolto anche in altro caso: la morte della fotomodella tossicomane, Antonella Bronchi, trovata cadavere nella pineta di Castel Fusano, in decomposizione. La banda continua a fare affari anche senza Selis, ma ogni decisione deve comunque avere il suo benestare. Lui entra ed esce dal carcere. È sempre più smanioso di potere, si muove sicuro sapendo di avere le spalle coperte da Cutolo. Crede di avere diritto di vita e di morte su chiunque, compreso i suoi compagni. E finora tutto gli è stato concesso ma i romani della Banda hanno tollerato abbastanza: ora sta davvero esagerando.
Er sardo si sente intoccabile, ma qualcosa cambia. I contrasti con Libero Moncone, altro personaggio di rilievo della banda, sono sempre più frequenti e poi c’è quell’errore che non avrebbe dovuto fare: Selis decide di uccidere Danilo Abbruciati “Er Camaleonte” componente influente della Magliana. Il gesto è imperdonabile, è troppo, gli altri non ci stanno, ne parlano e si accordano. Il verdetto è scritto. Il 3 febbraio 1981 Crispino, Renatino, Er Camaleonte, L’accattone, Marcellone e Er Paletta, chiedono a Nicolino Selis da Siniscola di incontrarsi con tutti gli altri in una villa, dove lo attende Libero Moncone. “Libero vuole riappacificarsi con te” gli dicono. Selis ci casca. Non va da solo, ad accompagnarlo c’è suo cognato Tonino Leccese, malavitoso di spicco e amico fidato: non sanno che la loro fine è già scritta.
Abbatino tira fuori una pistola da una scatola di cioccolatini e spara in testa a Er Sardo. Il re cade e con lui ogni possibile vendetta: il cognato di Selis, Tonino Leccese, viene giustiziato subito dopo, freddato nei pressi della caserma dei Carabinieri dove ogni giorno deve adempiere all’obbligo di firma. E non avranno mai risposta le domande di ‘Don Raffaele’ sulla morte dell’amico siniscolese: per i compari romani, Cutolo non ha il diritto di mettere il naso negli affari della Magliana.
Selis è sparito ormai da giorni. È il 4 marzo del 1981 quando un cadavere riaffiora dal Tevere. Un corpo nudo, gonfio e irriconoscibile con la testa fracassata, forse, dai colpi di pistola. Sulla pelle, decine di tatuaggi della mala: un volto di donna, un serpente, cinque punte a forma di stella, il distintivo della malavita. E una frase: “Il vero bene della vita è la mamma.” Gli investigatori non hanno dubbi, quello è Nicolino Selis, il boss di Ostia, il pesce grosso della Banda della Magliana.
Quel corpo è in acqua da almeno venti giorni. La stampa dà la notizia: Selis è morto, fine della storia. Ma arriva la sorella chiamata per il riconoscimento. Guarda il corpo e scuote la testa: “Non è mio fratello, lui era solito tagliarsi con la lametta sulle braccia, le cicatrici dove sono?”. Ma se quello nel fiume non è Selis, allora dov’è finito Nicolino?
È stato Antonio Mancini, insieme a Libero Moncone, a scavare la buca per seppellirlo vicino al Tevere, per poi ricoprirlo di calce viva. Il corpo di “Er Sardo” non verrà mai ritrovato. Nessuna tomba, nessun addio, per un re senza corona.
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