Renzo Secci e la sfida della Cantina Trexenta: “Un milione di bottiglie da valorizzare e rimettere in cammino”

Anno 1964: tempo di vendemmia

Fondata nel 1956, la Cantina Trexenta di Senorbì è una delle cooperative storiche del vino sardo. Legata da sempre ai vitigni del territorio – Cannonau, Monica, Vermentino – oggi lavora anche con varietà come Nuragus e Nasco. Dopo una lunga fase di ridimensionamento, prova a riorganizzarsi e riposizionarsi sul mercato. Renzo Secci, direttore generale, è chiamato a gestire questo passaggio: mettere ordine, rivedere i conti e cercare nuove strade, tra export e sostenibilità. E comunicazione. Molta comunicazione.

La Cantina Trexenta è una realtà storica. Qual è oggi la sua situazione?

È una cantina fondata nel 1956, una cooperativa che ha sempre cercato di valorizzare il territorio e sostenere la comunità agricola locale. Oggi contiamo su circa 200 ettari coltivati e una ottantina di soci: agli inizi erano ben mille. La produzione si è molto ridimensionata nel tempo: dagli 85.000 quintali dei tempi d’oro siamo arrivati a circa 10.000. Oggi produciamo circa un milione di bottiglie all’anno. È un numero importante, che ci distingue da tante piccole realtà nate negli ultimi anni.

E’ complicato gestire la produzione di un milione di bottiglie?

La struttura è grande, ha costi importanti e richiede una gestione organizzata. Molte piccole cantine oggi producono 50.000 bottiglie, 100.000 al massimo, con costi contenuti e una presenza aggressiva sul mercato. Noi abbiamo un’altra scala e un altro modello. Il milione di bottiglie è un patrimonio, ma senza una strategia solida rischia di pesare più che aiutare. Va trasformato in valore, in riconoscibilità, in vendite. Ci stiamo lavorando e penso otterremo risultati molto importanti.

Che vini producete e come sono cambiati nel tempo?

La tradizione è legata a Cannonau, Monica e Vermentino. Negli ultimi anni abbiamo puntato anche su varietà come Nuragus e Nasco. Sono vini di qualità, premiati anche a livello nazionale e internazionale, ma poco conosciuti. E questo è uno dei problemi: la comunicazione non è mai stata una priorità, e ora ne paghiamo il prezzo.

Come si affronta questa sfida?

Con un piano industriale concreto. Lo abbiamo scritto, lo abbiamo fatto approvare anche da alcuni fondi di investimento, e ora lo stiamo attuando. Significa riorganizzazione interna, ripensamento della rete commerciale, apertura ai mercati esteri e investimento sulla comunicazione. E poi, naturalmente, sostenibilità ambientale e innovazione tecnologica.

Sul fronte della comunicazione, cosa cambierà?

Tutto. Finora è stata una delle nostre debolezze principali. Abbiamo decine e decine di premi, ma fuori da qui non lo sa quasi nessuno. Ora stiamo costruendo un piano editoriale, vogliamo raccontare meglio la nostra identità e far emergere il valore reale dei nostri vini. Perché non basta fare un buon prodotto: bisogna farlo arrivare.

Quali sono le difficoltà principali di una cantina sociale come la vostra?

Come tutte le cooperative nate in un altro contesto storico, anche la nostra si trova oggi a confrontarsi con un mercato completamente trasformato. I costi di produzione sono alti, la concorrenza è aumentata, soprattutto da parte di piccole realtà molto agili. Inoltre, gli impianti sono ottimi e funzionano benissimo ma vanno aggiornati. Il nostro impegno è quello di rendere la struttura più efficiente e competitiva, valorizzando il lavoro dei soci e mettendo a sistema competenze, risorse e idee per affrontare questa nuova fase con strumenti adeguati.

Cosa distingue oggi la Cantina Trexenta?

Il territorio, prima di tutto, e la dimensione. Il milione di bottiglie non è solo un numero, è una leva. Ma può esserlo solo se sappiamo usarla. Abbiamo una struttura solida, un marchio storico e una qualità riconosciuta. Ora dobbiamo metterci la testa, la visione e un po’ di coraggio.

prova
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