
La produzione e il commercio dell’olio nella Sardegna antica sono legati alla mitologia greca, in particolare alla figura di Aristeo, figlio di Apollo e della ninfa Cirene, promotore dell’introduzione della coltivazione degli olivi nell’isola. Pausania racconta che Aristeo giunse in Sardegna, insieme a un gruppo di Greci della Beozia, su consiglio della madre, dopo essere fuggito da Tebe. Secondo la leggenda, Aristeo insegnò l’arte della coltivazione dell’ulivo e dell’estrazione dell’olio, inventando il trapetum, il primo strumento utilizzato per spremere l’olio. Diodoro Siculo riprende la tradizione di Pausania, raccontando che Aristeo, dopo aver lasciato i figli a Ceo, si recò in Libia dalla madre Cirene, che gli suggerì di colonizzare la Sardegna, un’isola fertile ma ancora selvaggia, e qui avrebbe fondato la città di Karales, l’odierna Cagliari.
Aristeo, divinità e semidio legato all’agricoltura, secondo la tradizione mitologica, fu il primo a praticare l’agricoltura in Sardegna e a diffondere la coltivazione dell’olivo. La sua figura, associata anche alla fertilità della terra, e quella della sua consorte Autonoe, madre di figli dai nomi simbolici come Charmo e Callicarpo, che richiamano la prosperità agricola, testimoniano l’importanza che l’olivo e il suo olio avrebbero avuto nella cultura sarda antica.
L’introduzione della coltivazione dell’ulivo e delle tecniche per l’estrazione dell’olio potrebbe essere stata influenzata dai commerci. La Sardegna, posta lungo le rotte commerciali tra Oriente e Occidente, fu un punto di incontro per le civiltà mediterranee, tra cui Greci e Fenici, che portarono con sé nuove tecniche agricole, inclusa la coltivazione dell’olivo. Gli scambi commerciali e culturali con i Micenei, che frequentavano l’isola già dal XIV secolo a.C., potrebbero aver favorito la diffusione di questa coltura nell’isola. Le tracce di questa tradizione perdurarono fino all’età imperiale romana, come testimonia una statuina in bronzo del II-III secolo d.C., rinvenuta a Oliena, che rappresenta Aristeo circondato da api e con un ramo di olivo, simbolo del suo legame con la produzione dell’olio. Un’altra statuina, rinvenuta a Olbia, raffigura Atena-Minerva, dea dell’olivo, con un ramo d’olivo nella mano, simbolo della sacralità e importanza di questa pianta nell’area mediterranea.
L’olivo era già presente spontaneamente in Sardegna in epoche remote. Studi paleo-botanici suggeriscono che l’olivastri selvatici fossero presenti sull’isola fin dall’epoca preistorica. Le prime tracce dell’Olea europea, specie che comprende sia l’olivo coltivato che l’oleastro selvatico, risalgono al Neolitico medio, come documentato nei carboni prelevati dalla Grotta Rifugio di Oliena. E’ probabile che anticamente l’olio fosse ricavato da piante selvatiche, che producevano frutti più piccoli, e solo successivamente, attraverso la selezione e la coltivazione, vennero sviluppate varietà con frutti più grandi e di maggior resa.
Le attuali varietà di olivo presenti in Sardegna (soprattutto di origine iberica) potrebbero essere state introdotte già in epoca preistorica. Alcuni degli alberi di olivo presenti in Sardegna, tra cui l’albero di Alghero, che potrebbe avere oltre duemila anni, sono testimonianze viventi di una tradizione millenaria legata alla coltivazione dell’olivo. Alcuni esemplari di oleastro, specie selvatica, presenti in zone interne come Luras e Sarule, risalgono addirittura a quattromila anni fa.
La civiltà nuragica, pur essendo prevalentemente dedita alla cerealicoltura, potrebbe aver sviluppato la coltivazione dell’ulivo a seguito dei contatti con le altre culture mediterranee. Le evidenze di olivastro rinvenute nei siti archeologici sardi suggeriscono che, già prima dell’introduzione dell’agricoltura, si utilizzassero i frutti di queste piante per ricavarne olio. È stato ipotizzato, infatti, che i Nuragici utilizzassero l’olio estratto dal lentisco e dall’oleastro per scopi pratici, come l’illuminazione, sfruttando le risorse locali. Giovanni Lilliu ha evidenziato che, nel villaggio di Barumini, si trovavano strutture per la preparazione dell’olio, utilizzato anche per illuminare le abitazioni e per rituali.
La produzione di olio, quindi, non era limitata all’uso alimentare ma si estendeva a vari settori, tra cui l’illuminazione con l’impiego di lampade e lucerne. Le tradizioni legate all’utilizzo di oli vegetali, come quello di lentisco, continuarono a essere praticate dai Nuragici, che cercavano risorse più economiche e facilmente reperibili rispetto al costoso olio d’oliva. Le numerose lampade e altri oggetti votivi e funerari ritrovati, suggeriscono un utilizzo diffuso di oli vegetali, testimonianza di una tradizione che si perpetuò nei secoli.
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