
C’è una mappa biologica, intricata come un circuito stampato e vasta come un codice sorgente ancora da decifrare. Tra miliardi di lettere di Dna si nasconde una traccia che potrebbe cambiare tutto: l’impronta genetica del disturbo bipolare. E una delle tessere più nitide di questo mosaico arriva dalla Sardegna.
L’Isola non è nuova a scoperte del genere. Piccolo continente genetico, serbatoio di varianti rare e popolazioni rimaste sorprendentemente stabili nei secoli, la Sardegna è stata spesso al centro di studi sulle basi biologiche delle malattie complesse. Ma questa volta la posta in gioco è ancora più alta: capire il disturbo bipolare non solo nei suoi effetti, ma alla radice, nei suoi meccanismi più profondi.
Uno studio pubblicato su Nature, intitolato “Genomics yields biological and phenotypic insights into bipolar disorder”, condotto dal Psychiatric Genomics Consortium con oltre 800 scienziati, ha individuato 298 regioni del genoma legate al rischio della malattia. Con l’analisi di 158.036 pazienti bipolari e 2,8 milioni di individui sani in 79 centri di ricerca, rappresenta uno dei più vasti studi mai realizzati sul disturbo bipolare.
I ricercatori dell’Università di Cagliari hanno avuto un ruolo chiave, fornendo dati genetici e clinici di circa 600 pazienti sardi. Il professor Alessio Squassina e la professoressa Claudia Pisanu (Neuroscienze e farmacologia clinica), insieme ai professori Mirko Manchia e Bernardo Carpinello (Psichiatria), hanno messo a disposizione del consorzio un archivio costruito in trent’anni, grazie anche al lavoro pionieristico di Bernardo Carpinello e Maria Del Zompo.
Una tradizione scientifica di eccellenza che affonda le radici nell’ateneo cagliaritano e nelle ricerche di studiosi di fama internazionale come Gian Luigi Gessa, Francesco Biggio e Gaetano Di Chiara. Il team ha sfruttato le peculiarità genetiche della popolazione sarda, che per la sua omogeneità permette di individuare con maggiore precisione varianti rare legate alla malattia.
I risultati dello studio hanno portato all’identificazione di 36 geni chiave per il disturbo bipolare. Un passo avanti decisivo verso nuove terapie basate sulla medicina di precisione. “Non è una cura immediata – spiegano i ricercatori – ma fornisce informazioni fondamentali per sviluppare trattamenti più efficaci”.
Non è ancora la soluzione definitiva. Ma è un segnale chiaro sulla mappa della conoscenza. E su quella mappa, la Sardegna ha un posto di rilievo.
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