Volpe 132, trent’anni dopo: oggi a Ottana la presentazione del libro-inchiesta

Il caso Volpe 132

Ottana si ferma per ricordare. Oggi, venerdì 28 marzo, alle 18, nel centro polivalente di via Lussu, si riaprirà il sipario su una delle pagine più oscure e rimosse della storia recente italiana: il caso Volpe 132, l’abbattimento in circostanze mai chiarite dell’elicottero della Guardia di Finanza che costò la vita a Fabrizio Sedda e Gianfranco Deriu, in quella tragica sera del 2 marzo 1994 a Feraxi. A dare solennità e memoria all’incontro organizzato dalla Pro Loco di Ottana sarà anche la voce del canto tradizionale: il gruppo Tenore Santa Maria eseguirà per l’occasione un brano inedito, scritto per onorare le vittime e dare voce – con l’antico suono della memoria orale – a chi non può più parlare.

Un’indagine lunga trent’anni

Il reportage multimediale “Il caso Volpe 132”, prodotto dalla società Mediando, sarà al centro dell’incontro. Con l’autore del libro bianco sul volo nero, Piergiorgio Pinna, ci sarà anche il giornalista Angelo Altea, ex parlamentare che seguì da vicino la prima inchiesta. “Ho cominciato a seguire questa vicenda alla fine degli anni Novanta, precisa Pinna, quando cominciarono a emergere elementi anomali. Le testimonianze, le prime ricostruzioni, tutto lasciava intuire che non si trattasse di un incidente. Mancava plausibilità. C’erano manovre per coprire, per insabbiare, per deviare. E c’era la Sardegna, epicentro di rotte non ufficiali che collegavano l’Africa al Nord Europa. Tutto puntava verso uno scenario molto più grande e torbido.” “Ma, e ci tengo a precisarlo, fu Piero Mannironi, inviato speciale de La Nuova Sardegna, a sollevare per primo il velo sul mistero. Con rigore, passione, metodo. È stato lui a tenere accesa la fiammella della verità, quando in molti – troppi – fingevano che non fosse successo nulla. Il suo lavoro è stato fondamentale per chi, come me, ha deciso di non mollare”.

La Sardegna e il Mediterraneo delle ombre

Il caso Volpe 132 non è un episodio isolato. Si inserisce dentro una trama più ampia e inquietante, che affonda le radici nel secondo dopoguerra, quando la Sardegna venne progressivamente trasformata in avamposto strategico del Mediterraneo. Un’isola bellissima e remota, apparentemente ai margini, ma in realtà al centro di esercitazioni militari, traffici d’armi, rotte opache e passaggi sospetti di rifiuti pericolosi. Un crocevia perfetto per ciò che doveva restare invisibile.
Il Golfo di Feraxi, dove l’elicottero della Guardia di Finanza precipitò il 2 marzo 1994, sembrava un luogo tranquillo, fuori dai radar della cronaca. Ma forse non lo era affatto. Un punto di mare scelto non a caso, isolato ma strategico, ideale per operazioni che non dovevano lasciare tracce.

«I due piloti sono morti in circostanze improbabili – osserva Piergiorgio Pinna – in uno scenario che ha più i contorni di un’azione militare che di un banale incidente. La dinamica suggerisce un attacco deliberato: proiettili traccianti, un’esplosione al serbatoio, forse addirittura missili terra-aria. Non fu un errore. Quel velivolo fu abbattuto come se dovesse essere messo a tacere. Per sempre».
Perché? Cosa aveva scoperto? Le domande restano sospese, come i rottami mai ritrovati. Ma intorno a quel volo si addensano le stesse ombre che avvolgono altri misteri italiani, dove la verità resta sommersa, letteralmente e simbolicamente. In questo caso, sottopile di documenti secretati.

Memoria collettiva e misteri italiani

Alla domanda su cosa insegni questa vicenda sulla memoria collettiva e sulla difficoltà dell’Italia a fare i conti con i suoi misteri irrisolti, Piergiorgio Pinna risponde senza esitazioni: «Viviamo in una Repubblica che dimentica in fretta. È successo con Ustica, con il Moby Prince, con le morti di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Storie gravissime, mai arrivate a una vera conclusione giudiziaria. Il caso Volpe 132 si inserisce perfettamente in questo schema: verità negate, memoria lasciata nelle mani di pochi, istituzioni immobili. E intanto il tempo passa, e con lui anche le possibilità di fare piena luce».

Ma l’indignazione civile resta viva. E davanti all’enigma di Feraxi, il giornalista non ha dubbi su cosa chiederebbe, se mai si trovasse davanti ai veri responsabili: “Ne è valsa la pena? Per cosa avete sacrificato due vite? Per mettere al sicuro un traffico, una missione illegale, un segreto di Stato? Cosa trasportava davvero quell’elicottero, o peggio ancora: cosa aveva scoperto?”.

Sotto il mare, l’ultima verità

A trentun anni di distanza, dell’elicottero Volpe 132 non è mai stata recuperata alcuna traccia. Nessun relitto, nessun frammento, nessun riscontro ufficiale che certifichi cosa accadde davvero sotto la superficie del mare di Feraxi. Eppure, non si trattava di un ultraleggero. Era un velivolo di 11 metri, quasi una tonnellata di metallo e carburante, progettato per resistere, non per sparire nel nulla. Un mezzo che, se davvero si è inabissato, non avrebbe potuto dissolversi senza lasciare segni.
“Oggi esistono tecnologie in grado di esplorare i fondali fino a 3.000 metri di profondità – osserva Piergiorgio Pinna –. Allora perché non è mai stata avviata una ricerca mirata con robot sottomarini? Perché nessuno ha voluto guardare davvero sotto? Cosa si teme di trovare?”.
La domanda è tecnica, ma anche politica. Perché quel relitto non è solo un oggetto: è la prova possibile di una verità rimossa, scomoda, potenzialmente esplosiva. Tacerlo significa negare giustizia. Lasciarlo dov’è – o far finta che non esista – è una scelta. Pinna lo sa bene, e nonostante tutto non ha perso la volontà di scavare.
“Io non mi rassegno – dice, con calma e determinazione –. Questo libro non è un punto d’arrivo, ma un segnale. Un avvertimento. Il caso Volpe 132 è ancora aperto, giuridicamente e moralmente. È una ferita viva. E ogni verità ha il suo tempo. Il nostro compito è continuare a cercarla. Anche quando sembra impossibile. Anche quando tutti gli altri smettono”.

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