
Nel cuore della Sardegna, a pochi chilometri dal paese di Orroli, sorge uno dei monumenti più imponenti e affascinanti dell’età nuragica: il Nuraghe Arrubiu. Il suo nome, che in sardo significa “rosso”, richiama il colore dei grandi blocchi di basalto utilizzati per costruirlo. Ma oltre alla sua maestosità architettonica, ciò che rende questo sito unico nel panorama archeologico mediterraneo è una scoperta straordinaria: le tracce più antiche di vinificazione in Sardegna, risalenti a oltre 3 mila anni fa.
Il Nuraghe Arrubiu fu costruito intorno al 1400 a.C., durante l’età del Bronzo medio, ed è uno dei pochi esempi di nuraghe complesso con una struttura centrale affiancata da una serie di torri satelliti e un imponente muro di cinta. La sua estensione e la complessità lo rendono uno dei più grandi dell’isola e di tutto il Mediterraneo. Questo sito non era soltanto un luogo di difesa o culto, ma un vero e proprio centro di potere, economia e cultura.
Durante gli scavi archeologici condotti tra gli anni ’Ottanta e il nuovo millennio, sotto la direzione della Soprintendenza archeologica della Sardegna, sono stati rinvenuti grandi contenitori in terracotta, tra cui orci, doli e brocche, all’interno di ambienti riconducibili ad aree di stoccaggio e produzione. Le analisi condotte su questi reperti, tra cui studi paleobotanici e chimici, hanno portato alla scoperta di residui di acido tartarico, un composto chimico presente naturalmente nell’uva e considerato uno degli indicatori più affidabili della presenza di vino.
Queste analisi hanno permesso di datare la produzione vinicola in Sardegna al XIII a.C., anticipando di secoli la presenza della viticoltura sull’isola rispetto a quanto ritenuto in passato. Si è scoperto, inoltre, che le tecniche utilizzate per la vinificazione erano sorprendentemente sofisticate: è probabile che i nuragici già conoscessero metodi di fermentazione e conservazione del vino in ambienti freschi e protetti, come le camere interne del nuraghe.
L’importanza del vino al Nuraghe Arrubiu non era solo rituale o alimentare. I numerosi contenitori e la loro varietà suggeriscono un sistema produttivo organizzato, forse destinato anche allo scambio commerciale. Considerata la posizione strategica del nuraghe e la sua complessa struttura, è plausibile pensare che il vino fosse parte di un’economia agricola avanzata e forse esportato anche in altre zone dell’isola o oltre mare.
Il vino aveva anche un valore simbolico e sociale: bevanda rituale per cerimonie religiose, simbolo di prestigio per le élite locali ed elemento centrale in banchetti collettivi. Alcuni ambienti del nuraghe sembrano infatti destinati a funzioni cerimoniali, e la presenza di vasellame decorato rafforza l’ipotesi di un uso del vino legato a momenti di coesione sociale e spirituale.
La scoperta della vinificazione al Nuraghe Arrubiu ha aperto nuovi scenari sulla storia della viticoltura in Sardegna, dimostrando che l’isola fu tra le prime regioni del Mediterraneo a sviluppare questa attività. Questo dato si inserisce in un contesto più ampio che vede i nuragici come un popolo capace di instaurare relazioni commerciali e culturali con altri popoli, come i Micenei e gli Egizi.
Oggi, la Sardegna è celebre per i suoi vini autoctoni, come il Cannonau, il Vermentino e la Malvasia, e molti produttori locali rivendicano con orgoglio un legame diretto con quell’antica tradizione vitivinicola iniziata proprio nei meandri del Nuraghe Arrubiu.
Il vino nel Nuraghe Arrubiu non è solo una scoperta archeologica, ma un ponte tra passato e presente, un simbolo della continuità culturale di un’isola che ha saputo custodire le proprie radici. Tra le mura rosse di basalto, i nuragici hanno lasciato una traccia indelebile della loro sapienza, capace ancora oggi di raccontarci storie di fermentazioni antiche, riti sacri e convivialità. Un patrimonio da conoscere, valorizzare e… assaporare.
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