
Vermi nella pasta consegnata a domicilio, più casi di botulino nel Cagliaritano – con due decessi –, la chiusura di una pizzeria dopo lo scandalo di un video girato fra i dipendenti, tonno avariato servito in tavola: negli ultimi mesi il territorio cagliaritano ha visto moltiplicarsi episodi che hanno minato la fiducia dei clienti. Sono i campanelli d’allarme che finiscono sui giornali, ma accanto al visibile c’è un sommerso che raramente emerge. Basta parlare con camerieri, cassieri e personale dei bar e dei ristorantini popolari per scoprire quanto spesso il livello minimo di qualità venga ignorato da chi gestisce i locali: stoviglie riutilizzate senza cura, materie prime tirate oltre il limite, frigo sovraccarichi, disattenzioni che diventano abitudine. Soprattutto, le trasgressioni peggiori e più pericolose riguardano la noncuranza con cui si conserva il cibo. Piccole trasgressioni quotidiane che non fanno notizia, ma che rivelano un sistema in cui il rispetto per il cliente e per il mestiere scivola in secondo piano.
Per la giornalista ed esperta di enogastronomia Alessandra Guigoni, questi non sono episodi isolati, ma segnali di trasformazioni più profonde. «Le filiere si sono allungate – osserva – meno preparazioni interne, più dipendenza da intermediari. Si riduce la possibilità di controllare la qualità del prodotto. Se invece il ristoratore lo compra direttamente dal grossista di fiducia, ci sono più garanzie. Ogni passaggio in più riduce il controllo e moltiplica i rischi di cattiva conservazione. Inoltre sarebbe auspicabile un ritorno più cospicuo a piatti preparati completamente in cucina».
L’altro nodo è l’improvvisazione di chi rincorre mode globali senza la necessaria preparazione. «Proporre cucine che richiedono competenze tecniche specifiche senza averle – spiega – significa esporsi a errori che abbassano il livello complessivo. Se non lo sai fare, impara a farlo, oppure non farlo. Questo è il mio consiglio ai ristoratori».
La tradizione locale appare sempre più fragile. Secondo Guigoni, la cucina popolare del Cagliaritano tende a essere messa da parte: «Spesso i menù proposti guardano al turismo, sono standardizzati e più costosi, con un legame più debole con la nostra identità. Questo processo rischia di impoverire il tessuto culturale e gastronomico del territorio».
Il nodo del lavoro rimane centrale. «Quando il personale non è adeguatamente formato e riceve compensi bassi, diventa difficile garantire continuità e qualità. Servirebbe più attenzione alla professionalità, perché la ristorazione si regge anche su questo».
Neppure la cornice normativa è di per sé sufficiente. «L’Haccp è uno strumento importante – spiega –, ma a volte viene percepito come un adempimento burocratico. Se non è applicato in modo consapevole, perde parte della sua efficacia preventiva».
Per Guigoni la risposta non sta solo nei controlli ma nella crescita di una cultura diffusa del cibo. In questo quadro si inserisce anche il lavoro che sta portando avanti con l’Enciclopedia enogastronomica della Sardegna, edita da Carlo Delfino editore, oltre mille pagine con ottocento voci e trecento ricette, pensata per restituire memoria e strumenti di conoscenza sul patrimonio alimentare isolano, in uscita il prossimo mese di ottobre.



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