
Per alcuni decenni è stata la dominatrice assoluta delle corse in Sardegna e in Continente. Le sue vittorie erano scandite con un ritmo inesorabile e una certezza mai scalfita: il lunedì, si apriva il giornale regionale alla pagina dello sport e invariabilmente si leggeva il seguente titolo: “Claudia Pinna vince ancora”. Sempre. Ad Alà, a Oristano, a Cagliari. A Olbia, a Guspini, a Sassari. Ovunque. Per decenni. Migliaia di sardi l’hanno vista scappare via lungo i sentieri di campagna e di periferia. Lei Claudia Pinna, 47 anni, di San Gavino, è una sorta di leggenda vivente. Esempio di dedizione e costanza, Claudia racconta la sua storia: dai primi passi in questo sport ai sacrifici fatti per vincere in Sardegna, in Italia e nel mondo.
Claudia bambina avrebbe mai immaginato di arrivare a vincere due medaglie europee nei 10000 metri?
Il bello di quegli anni è che non avevo assolutamente chiara la strada che avrei intrapreso. Mi sono costruita con il tempo e correvo per il gusto di farlo. Quando ho iniziato a correre tra gli anni ‘80 e ‘90, non si era così tanto aggiornati sui tempi e i record degli altri atleti. I media erano molto meno invasivi rispetto agli anni duemila.
Cerco di fare il mio lavoro al meglio, con passione e dedizione. Nella mia carriera, mi sono allenata principalmente a San Gavino. Sto bene nella mia dimensione e vivo gara per gara, anche quando certe competizioni a livello internazionale richiedono un impegno maggiore.
Qual è stata la competizione più difficile che hai affrontato in carriera?
Ho sempre vissuto la mia carriera con leggerezza e spensieratezza. Corro per me stessa senza dare conto a nessuno del mio operato. Ci sono state delle gare sicuramente più emotive di altre, come ad esempio la coppa Europa a Cagliari nel 2015 con la maglia azzurra.
Posso definirla la ciliegina sulla torta della mia carriera: erano presenti tante persone che mi sostenevano e osservavano. Anche se in tanti non credevano nelle mie potenzialità a lungo termine, ho avuto i maggiori successi tra i 30 e i 40 anni. Mi sono classificata proprio in quegli anni tra le prime italiane nei 10000 metri. Le gare che mi hanno sempre creato un po’ più di difficoltà sono state le maratone, soprattutto quella di New York nel 2013.
Sono stata invitata da Francesco Magnani in un gruppo in cui erano presenti gli atleti più forti al mondo. In quella giornata non stavo bene, ero stanca dal jet lag. Mi sono fermata al decimo chilometro della maratona e ho proseguito la gara da sola.
Quanto dura e come affronti la preparazione a una gara di livello internazionale come quella di New York?
Mi alleno costantemente tutto l’anno con poche fasi di recupero. La parte dell’anno più importante è l’inverno in cui l’atleta costruisce il suo fisico in palestra e al contempo corre in campo o in strada. Facevo dai sette ai dieci allenamenti a settimana in cui mediamente correvo 120 chilometri. Quando devo gareggiare a una maratona inizio a prepararmi almeno tre mesi prima della gara.
Che legame hai con la Sardegna?
Amo la mia Isola. Il modo in cui ho vissuto l’atletica è una chiara dimostrazione del mio affetto verso la mia terra. Ho sempre cercato di valorizzare il mio territorio e la città di San Gavino. Ho lavorato e studiato in Sardegna mentre facevo atletica. Nonostante negli anni mi è stato consigliato di dedicarmi completamente allo sport e cambiare aria per arrivare a livelli più alti, ho sempre declinato le offerte. Ritenevo fosse meglio continuare il mio percorso sportivo con Antonio Podda, che ha contribuito a farmi diventare la persona e l’atleta che sono oggi.
Ci sono delle persone che pensi siano stati fondamentali nella tua carriera sportiva?
Sicuramente il mio allenatore Antonio e la società del Cus Cagliari. Mi sono sempre stati accanto, soprattutto nei momenti più pesanti della stagione. Sono trent’anni che faccio agonismo, ho vissuto molti di quegli anni in maniera monotona.
Il gruppo, il mister e la mia famiglia sono stati fondamentali per continuare con costanza e senza pause. Per il mio gruppo di allenamento sento di essere stata essenziale per le vittorie conseguite, grazie soprattutto al clima interno instauratosi. Non c’è mai stata invidia tra di noi, ma solamente tanta voglia di apprendere e migliorarsi.
Senti di avere dei rimpianti? Ti sarebbe piaciuto partecipare a delle competizioni sportive in cui non sei riuscita ad arrivare?
L’unico rammarico è non aver avuto la possibilità di fare professionismo a tempo pieno. A 30 anni sono entrata nella guardia forestale dopo essere stata scartata dall’esercito. Rimasi molto delusa perché pensavo ci fosse la possibilità di unirmi a un gruppo sportivo femminile, che ai tempi però non c’era.
Nelle forze dell’ordine invece, avrei avuto la possibilità di allenarmi e gareggiare a tempo pieno. Probabilmente con questa opportunità sarei stata molto più rilassata e mi sarei goduta al meglio i tempi di recupero dagli allenamenti.
Che responsabilità senti di avere verso i ragazzi che alleni?
Quando ho tempo libero, dedico tanto tempo agli allenamenti dei giovani atleti. Cerco di trasmettergli i valori della costanza e della pazienza verso il raggiungimento del risultato. Non è mai facile tenere al campo i ragazzi della juniores per troppi giorni. Abbiamo iniziato la stagione con tre allenamenti alla settimana sino a oggi in cui riusciamo a farne sei. Siamo arrivati a questi giorni di allenamento con piccoli step. La mentalità dei ragazzi di questa generazione reputo sia più fragile rispetto alla mia generazione. Quando il coach ci dava dei giorni e degli orari quelli dovevano essere, senza discussioni o lamentele. Cerco di trasmettere a questi ragazzi la passione per questo sport. Penso sia l’unico modo che permetta all’atleta di allenarsi con spensieratezza e divertimento.
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