
C’è un’Italia che vive nei gesti, nei suoni, nelle parole tramandate come un codice segreto. Un’Italia che non si misura in monumenti di pietra, ma nella memoria di chi custodisce le sue tradizioni. E poi c’è la Sardegna, che di questo patrimonio è l’anima più intensa: un continente culturale a sé, dove ogni rito, ogni maschera, ogni canto è parte di una storia collettiva ancora viva, pulsante, indomabile.
Qui il Censimento del patrimonio culturale immateriale dei piccoli comuni trova la sua espressione più straordinaria. Perché se l’Italia è ricca di tradizioni, la Sardegna ne è un concentrato unico: dai Mamuthones e Boes, che ogni anno danno corpo a riti ancestrali, ai canti a tenore, ai saperi intagliati nel legno e tramandati nelle mani di artigiani e pastori. Un’eredità non solo da proteggere, ma da raccontare, valorizzare, rendere visibile al mondo.
La Sardegna è un archivio vivente, un sistema complesso di suoni, simboli e gesti ripetuti per secoli senza mai perdere significato. Qui il passato non è un’eco lontana, ma una presenza costante: nelle varianti linguistiche che cambiano da valle a valle, nei canti a tenore che vibrano nell’aria, nelle maschere che ogni anno scendono in strada portando con sé qualcosa di più antico della memoria stessa.
Non esiste un altro luogo in Italia con una densità simile di tradizioni ancora vive. Non un museo a cielo aperto, ma un organismo culturale che respira, si muove, si trasforma. Eppure, tutto questo è fragile. Non perché stia scomparendo, ma perché rischia di non essere visto, riconosciuto, compreso fino in fondo. Il Censimento del Patrimonio Culturale Immateriale dei Piccoli Comuni non è un’operazione nostalgica, ma un tentativo di tradurre questa eredità in una forma che possa resistere al tempo: una piattaforma digitale, un archivio interattivo, uno strumento per garantire che ciò che oggi è ancora vita non diventi solo storia.
Le maschere del carnevale sardo non sono semplici costumi, né spettacolo per turisti. I Mamuthones di Mamoiada e i Boes e Merdules di Ottana sono il volto di un rito antico, un codice che attraversa il tempo senza bisogno di spiegazioni. Si muovono lenti, pesanti, il suono sordo dei campanacci scandisce ogni passo, le maschere di legno scuro celano espressioni immobili, enigmatiche. È una danza ancestrale che parla di fatica, di natura, di qualcosa che esiste da sempre e che nessuno ha mai osato cambiare.
Nel 2025, queste figure sfileranno lontano dalla loro terra, attraverseranno i confini e arriveranno all’Expò di Osaka. Un’occasione per mostrare al mondo che la Sardegna non è solo un’isola, ma un universo culturale a sé, un luogo dove il passato non è nostalgia, ma una lingua ancora viva, capace di farsi capire ovunque.
Il censimento durerà due anni e sarà realizzato con il supporto di antropologi e ricercatori locali. “La Sardegna è un’isola che non si limita a conservare il passato, ma lo vive”, ha dichiarato Maria Antonietta Mongiu, archeologa ed esperta di cultura sarda.
Anche Bachisio Bandinu, antropologo, ha sottolineato l’urgenza dell’iniziativa: “Ogni canto, ogni parola, ogni gesto tramandato è un frammento di identità. Non possiamo permetterci di perdere nemmeno un tassello di questo mosaico.”
Il progetto non si limita a catalogare il passato, ma punta a rafforzare il senso di appartenenza delle comunità locali. Non si tratta solo di folklore, ma di identità. E la Sardegna, con la sua ricchezza ineguagliabile, si conferma il cuore pulsante del patrimonio immateriale italiano.
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