
Il boss indiscusso della malavita milanese e l’indomito bandito sardo si uniscono in un’alleanza che ha segnato la storia della criminalità italiana degli anni ’70. Francis Turatello e Graziano Mesina: due mondi totalmente diversi, ma complementari, diventano un punto di riferimento per il crimine organizzato di quel periodo.
È il 27 novembre 1976. Milano, avvolta da una coltre di nebbia, si prepara a una notte destinata a entrare nella storia: l’assalto al Brera Bridge di via Garofalo. È un giorno cruciale. Francis Turatello deve riaffermare il proprio dominio sul gioco d’azzardo della città e dimostrare a tutti chi detiene il vero potere sulla malavita milanese.
Siamo negli anni ’70. Francis Turatello, all’anagrafe Francesco Michele Turatello, è il re indiscusso di Milano. Si vocifera che sia figlio di Frank Coppola, detto “Frank tre dita”, boss della mafia italo-americana legato alla famiglia Gambino. Turatello mette in piedi una banda di quartiere, chiedendo il pizzo ai negozianti. Nonostante bische clandestine, sfruttamento della prostituzione e traffico di droga, il suo aspetto angelico gli vale il soprannome di “Faccia d’Angelo”. E’ In corso Sempione che si trova il suo quartier generale. Tutte le bische della città sono sotto il suo controllo, tranne una: il Brera Bridge di via Garofalo, che ancora gli tiene testa. Per questo recluta Angelino Epaminonda, il catanese detto “il Tebano”; Turi Mingiardi; Gianni Scupola; Pippo “l’Agrigentino” e, non ultimo, l’amico Graziano Mesina. Faccia d’Angelo osserva l’aspetto rude del bandito sardo: è malvestito, rozzo, sembra appena sceso dalle montagne di Orgosolo. “Dagli una sistemata e mettiamogli una parrucca, o lo riconosceranno anche i sassi con quella testa pelata!”, esclama Turatello rivolgendosi al Tebano.
È proprio lì, nel Supramonte, che Grazianeddu affonda le sue radici. Nato il 4 aprile 1942, cresce in un contesto segnato dalla povertà e da un clima di vendetta. L’unica fuga possibile sembra essere la ribellione. Indisciplinato e spregiudicato, si fa strada tra sequestri di persona, traffico di armi e droga, guadagnandosi il titolo di “bandito del Supramonte” diviene una leggenda. Mesina è anche abile nell’evadere dalle carceri: il 20 agosto 1976 fugge dal penitenziario di Lecce e raggiunge l’amico Francis Turatello, conosciuto durante la detenzione a Milano. Turatello gli promette protezione e aiuto.
È sera. Turatello raduna i complici nel suo quartier generale. Con passo deciso, salgono sull’auto e imboccano via Garofalo, imbracciano fucili a canne mozze. Il piano è meticoloso e astuto: viene rapito Giorgio Camerano, cliente abituale della bisca. Camerano oppone resistenza, ma Mesina lo costringe: “O suoni a questa porta o ti lego e ti butto nel fiume. Hai capito?”. Entrano tutti, tranne Gianni Scupola, che rimane fuori al volante della BMW ad aspettarli. Una volta dentro, Turatello, a viso scoperto, si avvicina al tavolo verde e ci pianta sopra una bomba a mano. “Banco!” grida. Poi ordina al Tebano: “Perquisiscili e, se qualcuno non ha versato tutto, uccidilo. Se fate quello che vi diciamo, nessuno si farà male”. Le donne vengono rinchiuse in una stanza, mentre gli uomini, intenti a giocare a chemin de fer, vengono perquisiti e privati delle armi. Turatello posa un cappello sul tavolo: “Ora, in fila, uno alla volta, venite qui e ci mettete dentro i soldi e tutto ciò che avete di valore”.
Inizia un corteo infinito, non basta più un solo cappello, e se ne aggiungono altri tre al tavolo. Sono tutti completamente ammutoliti, l’unico che ancora non si scompone e passeggia fra i tavoli con aria divertita e spavalda è Alfredo Bono, un noto mafioso siciliano, giocatore incallito,alto poco più di un metro e mezzo, il Tebano si scaglia contro di lui e gli molla un pugno in pieno volto. Grazianeddu nel frattempo come impazzito, si precipita a rubare le pellicce delle signore presenti, crea una pila talmente alta sopra la sua spalla che riesce ad avanzare a stento tanto è il peso che ha addosso. “Ma che minchia stai facendo? I soldi non te li fai con le pellicce, buttale giù.” Francis lo blocca: Questa non è una semplice rapina: è una dichiarazione di superiorità. Deve rafforzare la sua reputazione, incrementare il suo prestigio. Francis a volto scoperto si dirige verso il proprietario del locale e lo colpisce dritto in faccia col fucile, poi salta su uno dei tavoli e dice: “Ecco cosa succede a chi gioca nella bisca sbagliata! In corso Sempione non conosciamo le rapine!”Tira fuori dalla tasca un mazzo di biglietti da visita e li mostra agli ospiti ormai terrorizzati. Sopra c’è scritto: “Circolo Amici della pittura”: ”Qui niente pennelli o acquerelli, solo tavoli da chemin de fer, e inoltre serviamo lo champagne migliore della città, io bevo solo Kristal. Spero che nessuno di voi si azzardi a fare il furbo, non serve denunciarci, sappiamo dove trovarvi. ”Un sorriso e gira le spalle. Il bandito sardo si riempie frettolosamente le tasche di banconote e prima di scappare via e saltare sulla bmw, ne regala qualcuna al parcheggiatore lì fuori. Queste le dichiarazioni di Epaminonda ai giudici nel maxiprocesso del novembre del 1987. I presenti alla rapina sono ottanta, nessuno denuncia,a farlo, dopo qualche giorno sarà soltanto il direttore del locale. La rapina segna la fine del Brera Bridge che chiude e riapre un anno dopo sotto il controllo di Turatello ma dura appena dodici mesi, sette lunghi anni di carcere lo aspettano a Badu e Carros.
E ‘il 17 agosto del 1981 quando Faccia d’Angelo incontra il suo destino: immobilizzato da Pasquale Barra detto “o’animale”, sicario associato al boss della camorra di Raffaele Cutolo, viene ripetutamente accoltellato da Antonino Faro e Salvatore Maltese; è un massacro. Nel frattempo, il bandito sardo passa dalla latitanza a tentativi di reinserimento in società. Nel 2023 rifiuta le cure in carcere e il tribunale gli nega gli arresti domiciliari. Attualmente detenuto nel carcere di Opera e costretto in sedia a rotelle, Grazianeddu sembra un uomo sconfitto. In un’epoca in cui il confine tra eroe e cattivo si fa sempre più sottile c’è da interrogarsi. Una cosa è certa questo incontro ha contribuito a scrivere una pagina significativa della storia criminale italiana.
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