
Cantautrice, artista di strada e scrittrice: Linda Trinchillo, 33 anni, cagliaritana, ha trasformato la passione per la musica, nella sua vita. Dopo aver lasciato il suo lavoro a tempo indeterminato, ha intrapreso un percorso tra musica, scrittura e coraggio, fondando la sua band NineTEENspirits, pubblicando un romanzo e incidendo il suo primo album a Bruxelles.
Come ti sei avvicinata al mondo musicale?
Diciamo che io mi sono avvicinata al canto frequentando la mia parrocchia da bambina, perché mia nonna cantava nel coro della chiesa e quindi ho cominciato anche io ad andare a seguire le lezioni del coro e ogni tanto a cantare in chiesa. Poi da lì, appena ho avuto la possibilità di prendere anche io lezioni di canto private, ho cominciato a studiare canto moderno. Successivamente, sempre nell’ambito della chiesa e dell’oratorio, alcuni amici mi hanno insegnato un po’ a suonare la chitarra e da quel momento, quindi più o meno dai miei 12 anni, ho cominciato a scrivere le prime canzoni un po’ per gioco e questo è stato l’approccio iniziale.
Cosa significa per te la musica e il canto?
Posso dire che sicuramente la musica e il cantare tira fuori qualcosa del proprio mondo interiore. C’è stato un momento nella mia vita in cui ho cambiato totalmente direzione e quella che rappresentava prima quasi un rifugio dalle cose che magari volevo cambiare della mia vita, poi è diventata la mia principale forma espressiva e quindi ho cominciato a dedicarmi anche all’arte in strada e sono diventata artista di strada. Quindi per me la musica è un mezzo di comunicazione delle emozioni e del mondo interiore che sento e che ognuno di noi ha.
Hai lasciato il tuo lavoro per dedicarti alla musica, quando è successo? E da cosa è nata la tua consapevolezza del dover cambiare qualcosa nella tua vita?
Posso dirti che non ho lasciato tutto per seguire la musica, ho lasciato tutto semplicemente perché sentivo che quella vita che facevo non mi permetteva di conoscermi per come volevo conoscermi io. Nel momento in cui ho lasciato il mio lavoro a tempo indeterminato, cinque anni fa, mi sono resa conto che, quella che prima era una passione che coltivavo da sempre, la musica e il cantare, è diventata un po’ un faro nel buio. Ho realizzato che la musica rappresentava un punto fermo nel caos, nel disordine, e ho deciso di seguire quella luce lì.
Si può dire quindi che hai seguito la tua passione, la tua vera aspirazione?
Sai quando sei piccolo e magari dici “Io da grande vorrei cantare”? Ecco, io ho un disco quando, dopo le elementari, ci avevano fatto registrare la nostra voce: ogni alunno della classe doveva dire che mestiere avrebbe voluto fare da grande e io avevo detto di voler fare la cantante. Quindi per tutta la vita mi sono sentita dire “Sì vabbè, quelli sono i sogni poi c’è la vita vera”. Invece, nel momento in cui ho deciso di cambiare strada perché non mi sentivo fondamentalmente felice, mi sono resa conto, anche in seguito al fatto che ho conosciuto in quel periodo persone che vivevano di musica o in generale di una loro passione, che forse dovevo cambiare un attimo prospettiva e ho capito che dovevo rischiare e provare a far diventare la mia passione un lavoro.
A cosa ti ispiri quando devi scrivere della nuova musica?
Io sono cresciuta con i cantautori italiani, a casa si ascoltava principalmente musica italiana e, devo dire la verità, la ricerco sempre un po’. Penso che la musica è anche una forma di sublimazione di tante cose che si vivono e quindi, probabilmente, cerco di imprimere, un po’ come uno scatto di una fotografia, dei momenti di vita, non solo mia, magari anche di altre persone che ho conosciuto lungo il percorso, e trarre un’immagine dal caos che la vita ci propone. Quindi la principale fonte di ispirazione, se parliamo da un punto di vista musicale, sicuramente viene dal cantautorato italiano; invece, per quanto riguarda i temi, da quello che mi circonda ogni giorno a partire dalla mia vita e da quella delle persone che incontro.
Quali sono stati gli ostacoli maggiori dall’inizio della tua carriera musicale?
Gli ostacoli maggiori sono quelli che ho incontrato con me stessa: ti chiedi tante volte se stai facendo bene e, più vai avanti, più ti rendi conto di quanto c’è da imparare e quindi bisogna alimentare anche quella sana voglia di mettersi in gioco e di andare avanti, senza abbattersi troppo. E poi sicuramente il pregiudizio, perché qua non c’è tanto quel tipo di cultura che apprezza l’arte di strada. Un’altra difficoltà, che ho superato quest’anno, è stata quella di comprendere come trasformare un sogno in un progetto e portarlo alla luce.
Le persone a te vicine ti hanno supportata durante il tuo percorso?
Alcune persone sono rimaste vicine, altre sono rimaste ma con scetticismo, quella punta di sdegno o anche quel sentore di “Ma tanto adesso è un momento, poi si stanca, adesso ha appena lasciato il lavoro, c’è l’entusiasmo di cominciare una nuova vita e poi si stufa”. Poi ci sono invece quelle persone che credevo che avrebbero fatto il tifo per me, perché lo facevano effettivamente, poi invece nel momento in cui ho veramente cominciato a fare i primi passi, a concretizzare qualcosa, sono state le prime a voltarmi le spalle. Però devo dire che per ogni persona che è andata via ne è arrivata un’altra che mi sosteneva in modo più forte; quindi, io da questo punto di vista mi sento molto voluta bene.
Hai registrato il tuo primo album recentemente, come è nato l’intero progetto?
Nel corso del tempo ho scritto tante canzoni e ovviamente il desiderio di pubblicarle c’è sempre stato, insieme alla paura di non riuscire a fare un lavoro ben fatto; perché poi quello della registrazione, dell’arrangiamento, del registrare in studio è un lavoro a parte, totalmente diverso dal live. Quindi negli anni ho fatto varie prove registrando delle cover e poi un singolo per comprendere se c’era la possibilità di avere già qui la squadra giusta per il lavoro. Poi, per una serie di circostanze, ho conosciuto un gruppo, loro si chiamano Gap’s Orchestra e sono ragazzi di tutta l’Italia, anche artisti di strada, che hanno messo in piedi uno studio di registrazione. Ho sentito il loro progetto e quindi ho pensato che potevano essere le persone giuste. Così a febbraio sono partita per Bruxelles dove sono rimasta per poco più di un mese. È stata un’avventura a 360 gradi: non avevamo un alloggio lì ma abbiamo semi camperizzato un vecchio camper; il progetto è stato totalmente autofinanziato: ho aperto una raccolta fondi e abbiamo provato a rientrare il più possibile nelle spese. Abbiamo lavorato per un mese alla registrazione e agli arrangiamenti del disco, che adesso è in fase di post-produzione e presenterò a Cagliari, al teatro “Il vicoletto” il 25 ottobre, in collaborazione con il regista teatrale Luca De Angelis.
Quali sono i temi principali del tuo disco?
Questo album è molto autobiografico, sono dieci pezzi che raccontano principalmente il periodo dal momento in cui c’è stata quella crisi che poi mi ha portato al cambiamento a quello che è successo dopo. È uno spaccato della mia vita, dal momento in cui ho cominciato a intuire di voler cambiare una direzione, a quando poi effettivamente è successo e ho cambiato totalmente strada, quindi anche poi l’essere diventata un’artista di strada viene raccontato nel disco. E poi c’è anche uno spaccato del periodo, di quello che stava vivendo l’Italia in quel momento; quindi, è un po’ un quadro di tutto quel periodo lì: che va dalla pandemia in poi ma principalmente è un disco autobiografico.
Quali sono i tuoi obiettivi futuri e i tuoi prossimi progetti?
Sicuramente avendo avuto adesso questa esperienza del disco mi è tornata la voglia di ricominciare a scrivere canzoni perché ero da un po’ ferma, considerando anche il fatto di non essere ancora riuscita a portare alla luce il progetto e questo mi bloccava. Il mio obiettivo è pubblicare altro in futuro con maggiore consapevolezza sia per quanto riguarda la musica, che la scrittura in generale e continuare a specializzarmi in quello che faccio: continuare a studiare e perfezionare il mio spettacolo.
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