Il governo dice no al ricorso Todde: il conflitto è servito (e non sarà l’ultimo)

Alessandra Todde

Il Governo Meloni ha scelto la linea dello scontro: nessun passo indietro sul caso Todde. Il Consiglio dei ministri del 28 marzo, su proposta del ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli, ha deliberato di costituirsi davanti alla Corte Costituzionale per resistere al ricorso presentato dalla Regione Sardegna in materia di conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato.

Ma sul tavolo non c’è soltanto un contenzioso istituzionale. C’è un principio che scotta: può un atto amministrativo – un’ordinanza firmata da un collegio elettorale – rimuovere una presidente eletta a suffragio universale? Per ora, la risposta resta sospesa. Come la presidente. E come l’intero sistema di regole che dovrebbe tenere insieme la volontà popolare e la legalità formale.

Cronaca di una decadenza contestata

Tutto inizia (o finisce?) con una data: 20 dicembre 2024. È allora che il Collegio regionale di garanzia elettorale presso la Corte d’appello di Cagliari emette un’ordinanza-ingiunzione: secondo l’organo, Alessandra Todde – eletta presidente della Sardegna nel febbraio 2024 – avrebbe commesso irregolarità nel rendiconto delle spese elettorali. Il provvedimento, depositato il 3 gennaio 2025, stabilisce la decadenza della presidente e una sanzione da 40.000 euro.

Todde reagisce: presenta ricorso al Tribunale ordinario di Cagliari contro l’ordinanza del Collegio elettorale. Il giudice ha dichiarato il ricorso ammissibile, il che significa che la decadenza non è ancora tecnicamente efficace, in attesa del pronunciamento sull’eventuale sospensione o annullamento dell’atto. L’udienza è fissata per il 22 maggio.

Parallelamente, la Regione Sardegna, su mandato del Consiglio regionale, ha promosso un ricorso alla Corte Costituzionale per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, sostenendo che il provvedimento amministrativo incida su prerogative costituzionalmente garantite agli organi regionali. Ed è su questo secondo fronte che, il 28 marzo, il Governo ha scelto di costituirsi in giudizio per respingere il ricorso della Regione.

Una crisi istituzionale con tratti da dramma greco

La questione, al di là della burocrazia e delle formule giuridiche, è profondamente politica. E simbolica. Todde, ex viceministra e volto forte del Movimento 5 Stelle, è stata la prima donna a guidare la Regione Sardegna. Il suo successo elettorale aveva sorpreso molti. Ora si ritrova sospesa tra due mondi: quello della legittimità popolare, da cui trae la sua elezione, e quello della legalità tecnico-amministrativa, che ne ha disposto la decadenza – sebbene l’efficacia di quest’ultima sia ancora al vaglio della magistratura.

La Regione sostiene che un’ordinanza elettorale non possa produrre effetti così radicali – come la rimozione di un presidente – senza un fondamento previsto dallo Statuto speciale. Secondo lo Statuto, infatti, lo scioglimento del Consiglio regionale (che conseguirebbe alla decadenza della presidente) può avvenire solo in casi estremi: sfiducia, morte, dimissioni volontarie o gravi violazioni costituzionali. Il Governo, al contrario, contesta che vi sia stata un’invasione delle competenze regionali, ritenendo che il Collegio elettorale abbia agito nell’ambito dei propri poteri di vigilanza e controllo.

Politica o diritto? Entrambi. Nessuno.

Nel frattempo, Alessandra Todde dichiara di essere “serenamente al lavoro”, mentre i suoi legali – presumibilmente meno sereni – preparano la difesa su entrambi i fronti.

Il Movimento 5 Stelle denuncia un colpo di mano istituzionale, la destra osserva compiaciuta, il Partito Democratico tace.
Nel mezzo, resta la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi non solo sul futuro della presidente della Sardegna, ma forse anche – indirettamente – sull’equilibrio tra Stato e Regioni, tra popolo e procedura, tra il principio democratico e la macchina della legalità.

prova
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