
David Keys, giornalista e scrittore britannico specializzato in archeologia, ha firmato per The Independent uno dei più importanti articoli mai pubblicati da una testata internazionale sulla civiltà nuragica. Un interesse nato sul campo: Keys ha conosciuto la Sardegna nel 2019 e ci è tornato nel 2024, accompagnato dalla manager del turismo Ilenia Cocco. In quei viaggi ha esplorato i principali siti archeologici dell’isola, parlato con storici e docenti universitari, e raccolto direttamente dal territorio le informazioni che avrebbero dato forma alla sua inchiesta. Oggi definisce la Sardegna un luogo straordinario, il suo preferito. Ma non è un ammiratore qualsiasi: ha girato il mondo, è uno dei massimi divulgatori di storia e archeologia in Gran Bretagna e scrive di civiltà passate dal 1986. Qualcosa ha visto, insomma.
In questa intervista approfondisce i motivi della grandezza – e della mancata fama – della Sardegna preistorica. Dai legami con la Cornovaglia e la Scandinavia alle analogie con i Vichinghi, Keys ricostruisce il volto di un’isola che dominava le rotte del Bronzo. E rilancia: «È ora che la civiltà nuragica entri nei programmi scolastici».
David Keys, nel suo articolo ha parlato della Sardegna come di una superpotenza del commercio antico. Cosa intende?
Nel pieno dell’età del Bronzo, la Sardegna era un punto di snodo centrale tra il Mediterraneo e l’Atlantico. Col tempo è stata oscurata da civiltà come l’antico Egitto o la Grecia, ma per il commercio era forse ancora più importante. L’Egitto consumava, ma non commerciava; la Sardegna viveva di scambi.
Cosa rendeva la Sardegna così centrale nelle rotte commerciali dell’epoca? Solo la posizione geografica?
La posizione era certamente strategica, ma non basta a spiegare tutto. La Sardegna aveva risorse preziose come il rame, sapeva attrarre materiali come lo stagno e l’ambra, e soprattutto aveva la capacità di ridistribuirli. Era un nodo attivo, non passivo: un centro di potere economico e marittimo, inserito in reti complesse che arrivavano fino al nord Europa.
Nel suo pezzo, ha suggerito un collegamento tra la Sardegna e le isole britanniche. Possibile?
Non ci sono prove di navi sarde arrivate direttamente in Gran Bretagna, ma è probabile che materiali e merci siano passati attraverso una rete con centro in Sardegna. Stagno dalla Cornovaglia e ambra dalla Scandinavia sono stati trovati in Sardegna. E viceversa, oggetti di produzione mediterranea sono arrivati a nord. La Sardegna era l’anello chiave.
Parliamo dei Nuraghi. Perché, secondo lei, così pochi ne conoscono l’esistenza?
Il mondo conosce Roma, la Grecia, l’Egitto. Le altre civiltà restano nell’ombra. Quella nuragica è unica, e non solo per l’architettura: quei 7.000 monumenti in piedi ancora oggi dimostrano capacità costruttive incredibili. Eppure, non se ne parla. Mancano progetti di comunicazione efficaci, manca un piano strutturato.
La Sardegna fa abbastanza per promuovere la propria antichità?
Fa molto, ma potrebbe fare molto di più. Servirebbe una strategia a lungo termine: un piano che inviti i turisti interessati all’Egitto e alla Grecia a proseguire il loro viaggio verso l’antica Sardegna. Con le giuste risorse, è un obiettivo realizzabile.
Lei paragona i sardi antichi ai Vichinghi. Perché?
Perché, come i Vichinghi, i Sardi dell’età del Bronzo commerciavano, razziavano e si insediavano. Ci sono fonti egizie che parlano dei ‘Popoli del Mare’ e alcuni indizi iconografici suggeriscono che tra questi ci fossero anche Sardi. Talmente abili da essere arruolati come guardie del corpo dei faraoni.
Ci sono elementi concreti che collegano i Sardi ai Popoli del Mare descritti dalle fonti egizie?
Le fonti egizie parlano di gruppi provenienti dal Mediterraneo centrale e occidentale. Alcune raffigurazioni mostrano guerrieri con elmi con corna, un tratto che alcuni studiosi collegano all’iconografia sarda. Non è una prova definitiva, ma è un indizio suggestivo, che merita di essere approfondito con nuovi studi e confronti archeologici.
Il paragone con i Vichinghi si riferisce solo al commercio e alla mobilità, o anche a strutture sociali e politiche simili?
Soprattutto al comportamento marittimo e commerciale. Entrambi i popoli sapevano navigare, commerciare, muoversi in territori lontani e imporsi militarmente. Non abbiamo abbastanza dati sulla struttura sociale dei nuragici da fare un confronto preciso, ma l’analogia funziona bene sul piano delle dinamiche geopolitiche e marittime.
Ha parlato anche di una tomba “mediterranea” nelle Orcadi. Una suggestione affascinante?
Sì, affascinante ma anche controversa. Non possiamo dire che sia sarda, ma è l’unica tomba scavata nella roccia mai trovata in Gran Bretagna: un tratto tipicamente mediterraneo. Il parallelo più vicino è in Sardegna. Serve più ricerca.
Crede che tutto questo – se comunicato bene – possa cambiare il racconto della storia?
Senza dubbio. La civiltà nuragica era avanzata, e il pubblico ama le grandi civiltà del passato. Serve solo il modo giusto per raccontarla. Le scuole, la TV, i documentari: tutto oggi tende a ripetere ciò che è già famoso. Ma la Sardegna ha la possibilità di rompere questo schema.
E dovrebbe entrare nei programmi scolastici?
Assolutamente. È il passo decisivo. Non solo per rendere giustizia alla storia, ma per costruire identità, cultura e opportunità. Serve un progetto serio: raccontare questa civiltà a partire dalla scuola, con materiali accessibili, documentari, itinerari culturali. È un investimento educativo, ma anche economico e turistico. E può cambiare per sempre il posto della Sardegna nella memoria collettiva del Mediterraneo.
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