
A Cagliari, l’allerta meteo non è solo un bollettino, è una dichiarazione d’intenti. Cagliari è la capitale amministrativa della Sardegna, il suo cuore pulsante (o almeno così si vede), e quindi ogni decisione deve portare il peso di un’importanza superiore. Qui non si tratta di chiudere scuole o uffici per una pioggia qualsiasi: si tratta di gestire il rischio, di dimostrare che la macchina amministrativa esiste, funziona ed è in grado di prevedere, comunicare e – si spera – prevenire.
Non importa se fuori il temporale sia più una noia che una minaccia reale; l’allerta diventa una specie di mantra collettivo che giustifica il blocco totale di una città che, nei fatti, è già lenta di suo. Le strade si svuotano, i cittadini si ritirano nelle case, e l’allerta si trasforma in un evento rituale, dove la vera emergenza non è la pioggia, ma il bisogno di dimostrare che tutto è sotto controllo.
Quartu Sant’Elena, invece, è un’altra storia. Quartu è vicina a Cagliari – troppo vicina per sviluppare una propria identità vera, ma abbastanza lontana da risentirsi del proprio ruolo subordinato. Dove Cagliari si immagina centro nevralgico di decisioni, Quartu si accontenta di galleggiare nella sua confusione: non abbastanza piccola da essere definita “paese”, ma mai abbastanza grande da diventare davvero “città”. Qui l’allerta meteo non arriva, o meglio, non si applica. È come se Quartu non avesse il diritto di partecipare al grande dramma amministrativo del capoluogo: i suoi tombini esplodono lo stesso, le sue strade si allagano allo stesso modo, ma nessuno manda comunicati o chiude le scuole.
Quartu affronta la pioggia con un misto di fatalismo e indifferenza, come se il temporale fosse solo l’ennesima conferma che da queste parti ognuno deve arrangiarsi da sé. Ma c’è di più. Quartu, nonostante tutto, conserva un’ambizione malcelata di essere presa sul serio. Vuole essere Cagliari, o almeno sembrare, ma senza mai ammetterlo apertamente. Si prende cura del proprio lungomare, sistema piazze e strade – o ci prova – e lascia che i cartelli stradali proclamino con fierezza “Benvenuti a Quartu Sant’Elena”, quasi a voler sottolineare una propria importanza che Cagliari continua ad ignorare. Ha addirittura il suo animale totemico: un gigantesco Panda -che troneggia nella rotonda tra viale Marconi e viale Colombo.
Ma quando piove, Quartu si tradisce. Perché mentre a Cagliari l’allerta è un dispositivo simbolico che ferma tutto, qui la risposta è più banale: piove, pazienza, continuiamo. E così, tra tombini che vomitano acqua e strade impregnate del caratteristico odore di bassa, Quartu resta aperta, come se la normalità fosse un atto di resistenza contro l’inevitabile. Il vero spettacolo, però, è il confine invisibile tra le due città. Da un lato, genitori cagliaritani che traghettano i figli a scuola a Quartu- si esistono anche loro-, imprecando contro la pioggia e le decisioni del Comune; dall’altro, quartesi che attraversano Cagliari per lavoro, chiedendosi perché tutti siano barricati in casa.
Due mondi separati da quattro chilometri e un abisso di percezioni: Cagliari si immagina sempre al centro del mondo, Quartu si arrangia ai margini, con quel misto di ambizione e rassegnazione che è il suo tratto distintivo. E intanto piove. Su Cagliari, dove tutto si ferma per paura del peggio, e su Quartu, dove il peggio arriva comunque ma nessuno si prende la briga di fermarlo.
di Omar Congiu
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