
La coltivazione della vite e la produzione del vino affondano le radici in epoche lontane, strettamente legati a tradizioni agricole e culturali che hanno modellato la storia di numerose civiltà nel bacino del Mediterraneo e oltre. L’importanza della viticoltura non si limita al suo valore come semplice coltura agricola, ma si estende alla sua dimensione simbolica, religiosa, sociale ed economica. La viticoltura ha avuto un impatto significativo sulle società antiche, facendo parte integrante di riti sacri e tradizioni alimentari. Una delle teorie più diffuse sull’origine della viticoltura e della vinificazione sostiene che queste pratiche abbiano avuto origine nel Vicino Oriente, per poi espandersi verso l’Occidente, arrivando in Sardegna attraverso gli scambi commerciali e culturali che attraversavano il Mediterraneo.
Il vino, oltre a essere una bevanda di consumo quotidiano, ha avuto una valenza sacra, religiosa e rituale anche per il popolo nuragico della Sardegna. La Sardegna, con la sua posizione centrale nel Mediterraneo, è stata da sempre una zona di contatti e scambi culturali tra le popolazioni che si affacciavano su questo mare. Fin dall’età del Bronzo, navigatori e mercanti provenienti da diverse aree del Vicino Oriente, come i Filistei, i Ciprioti e i Minoici, approdavano sulle coste sarde, portando con sé non solo nuovi prodotti e tecnologie, ma anche pratiche agricole come la coltivazione della vite e la vinificazione.
Nel contesto nuragico, la presenza della viticoltura e l’uso del vino sono testimoniati sia dalle fonti archeologiche che dalle fonti letterarie. Sebbene le evidenze archeologiche suggeriscano che la vite fosse già coltivata in Sardegna fin dai tempi antichi, non è chiaro se questa fosse una coltivazione autoctona o se fosse stata introdotta dai popoli provenienti dal Vicino Oriente. Alcuni studi suggeriscono che la viticoltura fosse già praticata in Sardegna a partire dal II millennio a.C., mentre altri sostengono che i contatti con le popolazioni orientali abbiano avuto un ruolo fondamentale nell’introduzione della coltura della vite nell’isola.
La ceramica rappresenta una delle principali testimonianze della presenza del vino nell’antico mondo nuragico. Un tipo di ceramica che risulta particolarmente rilevante è la “fiasca del pellegrino”, una particolare brocca utilizzata per il trasporto e il consumo del vino. Questo tipo di recipiente è stato trovato in diversi siti nuragici, suggerendo che il vino fosse utilizzato non solo per consumo quotidiano, ma anche in contesti religiosi e cerimoniali.
La “fiasca del pellegrino” è, infatti, strettamente legata a pratiche religiose, che indicano come il vino fosse anche un elemento simbolico, associato al culto e ai riti sacri. La figura del vino e del suo consumo rituale è anche ben rappresentata dalla bronzistica nuragica, con importanti esemplari come la statuetta di “Barbetta”.
Questo piccolo bronzetto, realizzato con la tecnica della fusione a cera persa, raffigura un personaggio con una fiasca sotto il braccio, facendo presupporre che il vino fosse utilizzato anche come elemento di culto. Fu trovato in un contesto che si può interpretare come un riferimento al vino utilizzato in un rito religioso, dimostrando l’importanza della bevanda nel mondo nuragico non solo come alimento, ma anche come elemento di divinizzazione.
Un altro interessante bronzetto è quello che raffigura Aristeo, una divinità dell’agricoltura associata alla diffusione della viticoltura in Sardegna. Aristeo viene raffigurato con tre recipienti appesi alla schiena, che simboleggiano il legame tra la divinità e la viticoltura. Questo tipo di statuetta, che fa riferimento alla divinità agricola, suggerisce che il vino fosse strettamente legato alla divinità della terra e che fosse utilizzato come offerta nel contesto dei riti sacri legati alla fertilità e all’agricoltura.
A Monte Sirai abbiamo altre testimonianze che confermano il ruolo centrale del vino nelle cerimonie e nei riti religiosi. In uno dei bronzetti ritrovati a Monte Sirai, un personaggio versa vino da una brocca askoide in una ciotola, in un’azione che suggerisce il consumo rituale della bevanda in un banchetto sacro, ulteriormente sottolineato dalla connessione tra la ceramica, i bronzetti e le immagini di banchetti sacri, in cui il vino veniva utilizzato per celebrare e onorare gli dei.
L’origine della coltivazione della vite risale probabilmente alla “Mezzaluna Fertile”, una regione che si estende nel Vicino Oriente, tra la Mesopotamia, la Siria, la Palestina, la Turchia e la costa libanese. Qui la vite è stata coltivata fin dai tempi più antichi, come testimoniano numerosi reperti archeologici, tra cui una tavoletta in argilla ritrovata in Mesopotamia.
La tavoletta contiene un inno che celebra la preparazione di una bevanda da offrire agli dei, risalente a circa 6000 anni fa, e documenta uno dei primi riferimenti alla vinificazione come rito sacro. Questo uso liturgico del vino ha avuto un impatto duraturo sulle civiltà successive, come i Greci, i Romani e, naturalmente, i Nuragici, che avevano un legame stretto con il mondo del sacro e delle divinità.
Nel mondo nuragico, la produzione e la distribuzione del vino erano attività che richiedevano una gestione organizzata. I costi di produzione del vino erano elevati, e la sua commercializzazione comportava altrettanti costi legati al trasporto. Le brocche askoidi, che sono state rinvenute in numerosi siti nuragici, suggeriscono che il vino non fosse solo un prodotto di consumo domestico, ma anche un prodotto destinato al commercio. In effetti, le ceramiche nuragiche sono state rinvenute in diversi punti del Mediterraneo, tra cui Creta, la Sicilia, le Isole Eolie, Cartagine, Utica e Malaga, confermando l’importanza della Sardegna come produttore di vino e come centro commerciale nel Mediterraneo.
Nel IX a.C., le brocche askoidi diventano un simbolo del vino anche in Etruria, ma la coltivazione della vite tra gli Etruschi è documentata solo nel secolo successivo quando si nota una diffusione significativa del vino nel Mediterraneo, testimoniata dalle numerose ceramiche nuragiche ritrovate lungo le coste dell’isola e nelle necropoli sarde.
La presenza di queste ceramiche in insediamenti costieri del Mediterraneo dimostra quanto fosse importante la Sardegna nel commercio del vino. I banchetti nel mondo nuragico avevano un forte valore sociale e religioso. Il rito del “Marzeah”, celebrato durante i banchetti, simboleggiava la fratellanza e la comunione tra i partecipanti. I banchetti erano occasioni di incontro e di legame sacro tra persone di diverse provenienze, e la partecipazione era regolata da tessere in avorio che garantivano l’ospitalità e l’accesso ai luoghi di celebrazione del rito. Le necropoli nuragiche, come quella di Monte Sirai, hanno documentato che anche le donne partecipavano a questi banchetti dove il vino veniva consumato come parte integrante del rito.
Nella necropoli di Sulki, situata nell’attuale Sant’Antioco, il vino veniva utilizzato anche nei riti funebri. Vasi e anfore sono stati trovati nei corredi funerari, dimostrando che il vino accompagnava i defunti nel loro viaggio nell’aldilà. Le brocche trilobate (oinòchoai) sono state utilizzate per contenere e versare il vino nelle tombe, un’ulteriore prova della sacralità attribuita alla bevanda.
Un altro aspetto importante della produzione e distribuzione del vino nell’antico mondo nuragico riguarda l’uso delle anfore per il trasporto. Questi contenitori, realizzati a mano, erano destinati a essere utilizzati per il trasporto del vino, sia all’interno che all’esterno dell’isola. Le anfore sarde, con il fondo convesso, sono state progettate specificamente per il trasporto navale, suggerendo un sistema commerciale ben organizzato che gestiva la coltivazione della vite, la produzione del vino e il trasporto del prodotto attraverso le rotte marittime del Mediterraneo.
Le anfore sarde sono state rinvenute in numerose aree del Mediterraneo, tra cui Cartagine, la Sicilia, e la Spagna meridionale, dimostrando l’importanza della Sardegna come centro di produzione e commercio del vino.
In conclusione, il vino nel mondo nuragico non era solo una bevanda di consumo quotidiano, ma aveva un significato profondo e simbolico legato alla religione, alla socialità e all’economia. La Sardegna, attraverso la produzione, la diffusione e il commercio del vino, ha svolto un ruolo centrale nelle dinamiche del Mediterraneo antico, diventando un punto di riferimento importante per le popolazioni che si affacciavano su questo mare.
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