
Sarei felice di poter narrare le gesta di qualche marinaio nuragico, ma le fonti storiche non forniscono informazioni al riguardo. Considerando la tecnologia navale dell’epoca e l’invariabilità dei fattori climatici come il tempo, i venti e le correnti, le navigazioni avvenivano esclusivamente durante la stagione favorevole. Fu grazie al coraggio degli equipaggi che genti lontane ebbero l’opportunità di conoscersi e commerciare. Il preconcetto di alcuni studiosi, secondo cui i sardi dovrebbero nutrire una sorta di repulsione verso il mare, è oggi da scartare, poiché le testimonianze archeologiche provano che la frequentazione marina era stabile almeno da 8000 anni.
È del tutto privo di fondamento affermare che i sardi fossero intimoriti dal mare e rintanati nel Gennargentu e nel Limbara. Chi sostiene questa teoria dovrebbe dimostrare, tra le altre cose, che i circa 200 modellini di navi nuragiche in bronzo, realizzati 3000 anni fa con un sofisticato sistema di fusione a cera persa, rappresentano semplicemente mezzi di trasporto per percorrere il breve tragitto da Nora a Karalis. Alcuni studiosi sostengono che queste piccole imbarcazioni di bronzo fossero simboli di transizione nell’aldilà, il che comporterebbe dedurre che i nostri antenati progettassero crociere nell’oltretomba.
Per chi fatica ad accettare una civiltà sarda aperta al Mediterraneo, tutte le ipotesi sono valide. Fortunatamente, finora nessuno ha avanzato l’idea che tali navicelle fossero giocattoli o portacenere. Resta però da interrogarsi su come siano arrivati i primi abitanti dell’isola. Esclusa l’ipotesi di una germinazione spontanea, si può facilmente intuire l’intensa attività di barche e zattere, dotate di remi e vele. Il detto “Dae su mare su male”, che ho ascoltato con un certo tono di pessimismo, sembra riferirsi a una storia molto più recente.
Alcuni documenti egizi, come il papiro di Wilbour citato da Lilliu in merito agli attacchi dei popoli del mare a Qadesh e nel Delta del Nilo, durante il pieno sviluppo della Civiltà Nuragica, parlano di Sardi dal cuore ribelle, invincibili guerrieri giunti dal mare. Questi sono raffigurati nei rilievi scolpiti sui templi egizi di Medinet Abu, Karnak e Abu Simbel, dove le loro sembianze richiamano quelle dei bronzetti nuragici, soprattutto per quanto riguarda l’abbigliamento e le armi.
La quantità di armi e soldati rappresentati nei bronzetti sembra eccessiva se l’obiettivo fosse solo quello di rappresentare conflitti tribali interni all’isola. Inoltre, le coste italiane non sono affatto lontane: risalendo le coste sarde e quelle della Corsica, si può navigare a vista fino all’arcipelago toscano. Vi erano dunque tutte le condizioni per un commercio vivace tra le due sponde del Mediterraneo.
L’archeologia conferma che 3000 anni fa erano già presenti asce, spade, fibule, anfore e brocche per il vino, oltre a numerose piccole imbarcazioni ritrovate nelle tombe etrusche di Tarquinia, Vulci, Populonia e Vetulonia, e le testimonianze confermano gli scambi col mondo miceneo dell’Egeo.
La marina di Roma nacque nel 261 a.C., quando comprese che Cartagine, con le sue pentère e la sua potente flotta, deteneva il dominio sul mare. Conquistare la superiorità terrestre era inutile senza il controllo marittimo. Già nello stesso anno, i romani costruirono venti trière e cento pentère, forse utilizzando come modello una nave cartaginese recuperata.
Nel 260 a.C., il console Caio Duilio ottenne una vittoria decisiva sui punici a Milazzo, catturando una parte della flotta nemica. Tuttavia, Attilio Regolo, un eroe noto per il suo coraggio ma con un limitato discernimento politico, valutò come definitiva la vittoria e, imprudentemente, si recò a Cartagine per imporre condizioni durissime. I punici, non sempre eleganti nelle loro azioni, si ricordarono di una vecchia botte con punte di ferro al suo interno e vi fecero imprigionare l’incauto romano, gettandolo giù da una rupe.
Nel 241 a.C., Lutazio Catulo sconfisse definitivamente i cartaginesi al largo delle isole Egadi. Tre anni dopo, la Sardegna divenne provincia romana, ma i sardi resistettero a più riprese ai tentativi di romanizzazione, opposti dal Senato attraverso l’invio di legioni e comandanti in cerca di gloria.
Dal II secolo a.C., il Mediterraneo cominciò a smilitarizzarsi a causa della mancanza di nemici, ma questo portò anche un incremento della pirateria. Fu Pompeo, con la legge Gabinia del 67 a.C., a porre fine a questa piaga che causava lutti e danneggiava le economie delle popolazioni mediterranee. Dione Cassio e Strabone raccontano che, nel 6 a.C., alcune popolazioni sarde si ribellarono a Roma, rifugiandosi nelle fertili terre del Campidano, attaccando le città costiere e disturbando il traffico marittimo nell’alto Tirreno, arrivando a sbarcare nella Lunigiana.
Le quattro tribù montane sarde (i Diaghesbei, precedentemente noti come Iolei) sono conosciute attraverso gli scritti degli autori latini: Parati, Sossinati, Balari e Aconiti. L’imperatore Cesare Ottaviano Augusto, consapevole della serietà del pericolo, decise di intervenire personalmente per ristabilire l’ordine, evitando di cedere l’isola al Senato. Schierò a Karalis il primo distaccamento navale della marina militare.
Pochi decenni dopo, i romani iniziarono a reclutare soldati e marinai sardi, anche per calmare i tumulti. La Coorte degli Aquitani fu trasferita in Germania, quella dei Lusitani in Numidia, mentre nell’isola restarono le coorti dei Corsi e dei Liguri, affiancati dalla Cohors I Sardorum. In altre parole, i contingenti militari incaricati di vigilare sulle coste del Mediterraneo Occidentale erano sardi.
Il Pais, inoltre, sottolinea che i ritrovamenti epigrafici che ricordano i classiari sardi sono numericamente pari a quelli di tutte le altre regioni mediterranee messe insieme, con la sola Siria che vanta contingenti comparabili. Con i Flavi e gli Antonini, la Sardegna prosperò ulteriormente, e alcuni documenti testimoniano la presenza di soldati sardi nelle legioni pretorie, ricoprendo gradi elevati.
Nel II secolo, la concentrazione militare si spostò a Karalis, con guardia d’onore e polizia, mentre la marina manteneva il ruolo di prevenzione della pirateria e compiti di collegamento con Roma. Altre forze furono dislocate nell’Iglesiente per proteggere le miniere, e la pace rimase salda per tutto il III secolo.
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