
Il calendario sardo è ricco di sagre e feste che si svolgono durante tutti i mesi dell’anno. Sebbene l’intensità diminuisca durante gli ultimi giorni di Carnevale e la Quaresima, con l’arrivo della Settimana Santa le celebrazioni riacquistano nuova forza. Le sagre sono occasioni uniche per esaltare il folclore, poiché si svolgono nel loro contesto naturale, spesso accompagnate dalla presenza di gruppi in costume che si esibiscono in modo autentico, creando un coinvolgente legame con le tradizioni dell’isola.
Le sagre hanno radici principalmente religiose, nate da voti individuali per grazie ricevute e voti collettivi in occasione di calamità come pestilenze, carestie, inondazioni o invasioni di cavallette. Talvolta sono anche ispirate dal ritrovamento, spesso leggendario, di simulacri. Durante queste manifestazioni si intrecciano riti cristiani e elementi pagani, testimoniando come la religiosità sarda, pur profondamente radicata, mantenga tracce di culti primitivi. Un aspetto di grande importanza è il legame tra i miti e le vicende agricole che da sempre hanno influenzato l’isola. Ciò spiega i numerosi riti propiziatori per garantire un buon raccolto, simbolo di una terra fertile. La partecipazione popolare alle sagre, un tempo, non aveva tanto lo scopo di svago, ma serviva piuttosto per stordirsi, per nascondere l’ansia e la cupezza nel tumulto e nell’allegria rumorosa.
A queste manifestazioni si aggiungeva anche il bisogno di rivolgersi a una divinità, che ha trovato espressione in un susseguirsi di culti che hanno dato vita a un sincretismo di grande fascino. Tra le migliaia di sagre celebrate ogni anno, alcune conservano legami con le tradizioni nuragiche. Un esempio evidente è il culto fallico, il cui impatto è ancora visibile nei betili sparsi per le campagne. Questo culto perdurò fino alla fine del Settecento, quando la religione cattolica si impose definitivamente sull’isola, senza però riuscire a eliminarlo completamente. Alcuni rituali, come i falò (tuvas) di Sant’Antonio Abate e di San Giovanni Battista, ne sono un’eredità, così come certi usi legati al culto del fuoco (vedi immagine di Giuseppe Melis in copertina).
In Barbagia, il culto delle pietre va oltre i betili e coinvolge anche le rocce, sulle quali si dice sia impressa l’impronta della Vergine, un fenomeno comprensibile considerando che questa zona ha mantenuto più a lungo di altre parti dell’isola le tradizioni pagane, che si sono poi intrecciate con il cristianesimo. Un altro culto diffuso è quello dell’acqua, che conferisce poteri taumaturgici alle fonti e alle sorgenti. Un esempio si trova a Capoterra, dove i fedeli, dopo aver bevuto l’acqua sorgiva della grotta di Santa Barbara, depongono piccole croci di legno sulla roccia.
Le origini della maggior parte delle sagre sono da ricercarsi nel periodo della dominazione bizantina. Molte di esse presentano analogie con i rituali ortodossi diffusi in Grecia, in cui prevalgono cerimonie popolari che rimandano ai primi secoli del cristianesimo. Tra il VI e il VII secolo, quando la Sardegna era sotto Bisanzio, queste tradizioni si svilupparono ulteriormente, includendo balli rituali, corse di cavalli, gare poetiche, banchetti e pernottamenti nelle chiese, elementi che suscitarono la disapprovazione della Chiesa di Roma.
La resistenza della Chiesa Romana a queste usanze fu manifesta, con condanne che arrivarono a proibire i banchetti e i pernottamenti dentro i templi. Sebbene i divieti fossero severi, molte di queste pratiche sono sopravvissute fino ai nostri giorni, come ad esempio a Sindia, dove i festeggiamenti per San Demetrio continuarono fino al 1936.
Alcuni aspetti religiosi delle sagre sarde non sono riconducibili alla dominazione bizantina, ma risalgono al periodo aragonese-catalano. Un esempio è “sa ramadùra”, un’usanza che prevede il lancio di fiori e foglie durante le processioni. In alcune occasioni, questa pratica assume un significato più ampio, come nel caso della festa di San Giacomo apostolo a Serrenti, dove “s’arromadùra” comprende anche il taglio e il trasporto di canne per la costruzione di una tettoia sotto la quale ballare.
La Chiesa è stata, per secoli, l’unico sostegno contro le difficoltà della vita quotidiana, e la devozione religiosa dei sardi si è sempre espressa in maniera appassionata. I santi sono simboli della fierezza dell’isola e la venerazione di Efisio, Lussorio, Gavino e Costantino ha sempre occupato un posto centrale nella spiritualità sarda, con interventi miracolosi attribuiti loro che sono diventati parte integrante della cultura popolare. Un esempio è nella figura di Sant’Efisio, che si è trasformato nel condottiero dei sardi e nel salvatore di Cagliari, durante il tentativo di invasione della flotta francese nel 1793.
Un altro aspetto rilevante riguarda la venerazione della Vergine, che assume molteplici nomi come la Madonna di Bonaria, di Monserrato e di Intermontes, simboli della protezione e guida per il popolo sardo. Un esempio commovente di questa devozione è l’Ave Maria sarda, che esprime con straordinaria intensità il sentimento di fede del popolo sardo.
L’organizzazione delle sagre richiede un notevole impegno. A capo della preparazione c’è generalmente un comitato, spesso guidato da un obriere o un priore di confraternita, che ha il compito di raccogliere i fondi necessari per realizzare la festa dell’anno successivo. Questo tipo di struttura organizzativa, che si riflette in tutta l’isola, è testimone di un forte attaccamento alle tradizioni. Molti di questi rituali vengono ancora celebrati con grande cura, mantenendo viva una parte fondamentale della cultura sarda
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