
Dimenticate i Millennials e la Gen Z: i Beta – i nati dal 2015 in poi – non aspettano il futuro, ci vivono dentro, ma senza certezze. Sono la generazione dell’incompiuto, cresciuti in un mondo instabile, dove tutto è provvisorio.
In informatica, una versione beta è un software non ancora definitivo, ma già funzionante. Viene testato per individuare errori e correggerli. Tuttavia, ogni fase Beta ha una scadenza: o evolve in una versione stabile o viene abbandonata. E se la Sardegna fosse in “modalità beta”, intrappolata tra potenzialità e incertezze, senza mai ricevere l’aggiornamento necessario?
La Sardegna perde ogni anno 10mila abitanti. Con un tasso di natalità tra i più bassi d’Europa (1,07 figli per donna), in molti paesi nascono due o tre bambini all’anno, troppo pochi per formare una classe. Le scuole chiudono, i campetti si riempiono di erbacce, le case vengono abbandonate. Un’intera comunità sembra non generare più futuro. Il 23% degli studenti lascia la scuola prima del diploma. Il 30% dei giovani è disoccupato. Mentre le grandi città attraggono chi cerca opportunità migliori, i borghi sardi si svuotano e diventano silenziosi, abitati più dalla memoria che dalle persone.
Essere in Beta non significa essere rotti, ma in fase di trasformazione. Tuttavia, una versione incompiuta rischia di restare tale per sempre se non viene migliorata. La Sardegna può trasformarsi da un’isola che resiste a un’isola che costruisce, ma non basta una narrativa sulle sue bellezze naturali. Servono scelte coraggiose, investimenti intelligenti e azioni che vadano oltre gli interventi-tampone.
Le scuole non devono essere solo luoghi di apprendimento, ma centri di aggregazione per l’intera comunità: spazi aperti ai giovani e agli adulti, dove si organizzano corsi di musica, laboratori artigianali e incontri culturali. Chiudere una scuola significa spegnere il cuore di un paese. La scuola non è solo un servizio, ma un messaggio: restare deve essere una scelta possibile, non un ripiego
In un’isola vasta e montuosa, avere ospedali lontani e strade poco praticabili significa rinunciare alle cure. Percorrere 50 km di curve per una visita medica non è un’eccezione, ma una routine. Non servono progetti faraonici: bastano trasporti funzionanti, autobus frequenti e treni moderni. Collegare i borghi significa farli vivere.
Non si può vivere solo dei riflessi del mare ad agosto. Il turismo stagionale svuota i paesi in inverno, rendendoli set cinematografici abbandonati. Serve uno sviluppo che duri tutto l’anno, investendo in agricoltura moderna, energie rinnovabili e progetti innovativi che rispettino l’ambiente.La Sardegna non è arretrata: la mancanza di iper-industrializzazione può essere un’opportunità per innovare senza ripetere gli errori del passato. Come si convince un giovane a restare o a tornare? Non basta offrirgli un lavoro stabile: servono servizi efficienti, case a prezzi accessibili e reti sociali che lo facciano sentire parte di qualcosa. Immaginiamo borghi con co-working, eventi culturali e biblioteche multimediali: non fantascienza, ma visioni realizzabili per un futuro possibile.Essere Beta significa vivere in bilico, aspettando una versione migliore. Ma non si può restare in prova per sempre. La Sardegna può trasformare le sue contraddizioni in punti di forza: la lentezza può essere un valore, il silenzio una pace, non un vuoto. Ma vivere significa scegliere di essere completi, riscrivendo il proprio futuro senza aspettare aggiornamenti dall’alto. La Sardegna non è un’app in attesa di approvazione: è un’isola, ed è già viva.
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