Todde sfida lo stallo nazionale: la Sardegna verso una legge sul fine vita

Legge Fine Vita

Il diritto di morire con dignità, in Italia, è diventato una questione di geografia. In Toscana, dal febbraio scorso, è regolato da una legge regionale. In Sardegna, dove una proposta simile è appena stata depositata in Consiglio, potrebbe esserlo a breve. Altrove, no. Altrove si resta in quella zona grigia che unisce giurisprudenza costituzionale, coscienza medica e dolore individuale. Altrove si attende. Ma l’attesa, come ha detto la presidente sarda Alessandra Todde, “non è più accettabile”.

“Anche la Sardegna vuole una legge sul fine vita”, ha annunciato, non a Cagliari, ma alla Camera dei Deputati, durante un evento teatrale sul tema, organizzato dal Movimento 5 Stelle. È un dettaglio rivelatore. Non solo perché segnala la natura politica della questione, ma anche perché riafferma il punto: è a Roma che questa legge dovrebbe nascere. Ma a oggi, sei anni dopo la sentenza n. 242 della Corte Costituzionale, non è così.

Due Regioni, un vuoto centrale

La proposta di legge sarda non nasce dal nulla. È figlia diretta di quella approvata in Toscana, prima Regione italiana ad aver normato il suicidio medicalmente assistito sulla base delle sentenze della Consulta. La legge toscana prevede valutazioni etiche, tempi certi, strutture pubbliche coinvolte. Un modello che la Sardegna, per voce della sua presidente, intende seguire da vicino.

“Il nostro testo è stato depositato,” ha detto Todde, “ora affronterà l’iter in Commissione. Se i tempi lo consentono, potremmo essere la seconda Regione a colmare questo vuoto.” Ma il punto, ha chiarito, non è arrivare secondi. È evitare che il diritto alla scelta resti un privilegio territoriale.

Il piano personale, quello politico

Il suo intervento non è stato solo tecnico o amministrativo. È iniziato con un ricordo del padre. È proseguito con un riferimento alla storia di Sibilla Barbieri — la donna che, malata terminale, ha dovuto raggiungere la Svizzera per esercitare il diritto che in Italia le era negato. “Lo Stato non può continuare a negare un diritto che non toglie nulla a nessuno, ma dà a tutti il potere di scegliere,” ha affermato Todde.

Non è solo una frase. È una posizione politica. Ma anche una dichiarazione etica, e una visione del ruolo dello Stato: non come custode di dogmi morali, ma come garante di libertà individuali — specie quando sono difficili, dolorose, irreversibili.

Frammenti regionali, silenzio nazionale

La Sardegna non è sola. O meglio: è sola in una compagnia di solitudini. In Veneto, una proposta simile è stata bocciata per un solo voto. In Piemonte, una questione di costituzionalità ha bloccato tutto prima ancora che si potesse discutere. Nel Lazio e nelle Marche, le proposte dormono in Commissione. Il risultato? Un patchwork legislativo che disegna un’Italia a macchie di diritto. Con conseguenze reali: per i malati, per le famiglie, per i medici.

La posta in gioco: normalizzare il dibattito

La presidente sarda ha parlato di “atto di civiltà”. Ma c’è di più: c’è l’intenzione, nemmeno troppo implicita, di spostare l’orizzonte. “Due Regioni che approvano leggi sul fine vita”, ha detto, “possono stimolare il Parlamento a fare il proprio dovere”. La logica è quella della Finestra di Overton: rendere politicamente dicibile ciò che, fino a poco fa, sembrava impensabile.

E nel farlo, usare non solo strumenti giuridici ma narrativi: come il teatro civile, come le testimonianze familiari, come l’emozione controllata che entra in aula e si fa argomento. Un linguaggio che unisce etica e politica, che non cerca il consenso facile ma una forma più profonda di legittimazione: quella dell’esperienza condivisa.

Il futuro? Ancora in sospeso

La proposta di legge è ancora ferma, in attesa del primo passo in Commissione. Potrebbe richiedere mesi. Oppure restare impantanata, tra rallentamenti procedurali, compromessi politici e il peso, non indifferente, del non decidere. Ma al di là dell’esito, il segnale lanciato dalla Sardegna ha già un valore. Non per ciò che promette, ma per ciò che denuncia: l’assenza di una legge dove servirebbe più di ogni altra cosa. È un’iniziativa che nasce dal margine istituzionale, ma che guarda al centro. E che, partendo da un’isola, richiama con forza il continente a fare la propria parte.

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