
Cagliari: i palazzi, le famiglie, le imprese, edito da IsolaPalma, è il nuovo libro di Antonello Angioni. Un viaggio nella storia, nella memoria e nell’identità della città, raccontate attraverso i suoi edifici e i suoi protagonisti.
I palazzi, veri fulcri del racconto, portano ancora i nomi dell’antica aristocrazia – spesso di origine feudale – o della borghesia emergente che ha segnato la modernità cagliaritana.
Il volume sarà presentato il 10 aprile alle 17.30, nella sala conferenze della Fondazione Sardegna in via San Salvatore da Horta. All’incontro, coordinato dal direttore editoriale Paolo Lusci, interverranno lo storico Aldo Accardo, l’assessore all’Urbanistica Matteo Lecis Cocco Ortu e l’ingegnere Giorgio Angius, in dialogo con l’autore.Il libro nasce da una ricerca meticolosa, condotta con il rigore dello storico e la passione del cittadino innamorato della propria città. Antonello Angioni, avvocato, giornalista e scrittore, ha all’attivo 17 libri, in gran parte dedicati a Cagliari. È autore di numerosi lavori di taglio storico, tra cui il romanzo La congiura di Camarassa. Già direttore dell’Istituto Gramsci della Sardegna e presidente della Fondazione Dessì, è oggi vicepresidente della Fondazione Siotto.
Antonello Angioni, oggi sei considerato uno dei custodi delle memorie e della storia di Cagliari. Ti riconosci in questo ruolo e come ti ci trovi?
Devo confessare che non pensavo di dover assumere questo ruolo. Ho sempre indagato sulla storia della città e sulle sue memorie per passione, senza pormi particolari obiettivi. Ciò che mi ha sempre interessato, infatti, è il percorso, non il punto d’arrivo. Peraltro stratificando studi, esperienze e conoscenze, ora mi accorgo di disporre di un quadro di riferimento complesso che vale la pena di catalogare e divulgare. In tale ambito, il palazzo resta un punto d’osservazione privilegiato in quanto, visitando i luoghi e analizzando le costruzioni, è possibile tracciare la storia della nostra città e cogliere i diversi passaggi che ne hanno segnato il difficile e talvolta non lineare cammino che ha portato Cagliari a trasformarsi da piccola città feudale e “coloniale”, alla mercé del conquistatore di turno, in una vera e propria città moderna, dal taglio mercantile, produttiva, di vocazione europea e mediterranea.
Quali sono i passaggi, sul piano storico e culturale, più significativi che hanno segnato e caratterizzato le trasformazioni della città?
Sono diversi. I palazzi costituiscono un microcosmo completo e un punto di osservazione privilegiato perché ci aiutano a capire le modificazioni avvenute prima in seno all’aristocrazia e poi alla borghesia cittadina e soprattutto la crescente importanza assunta, nel corso degli anni, dai ceti popolari, destinati a essere i custodi e i veri protagonisti della Cagliari del futuro.
Per lungo tempo, mi riferisco alla città d’ancien régime, Cagliari è stata la residenza di ceti privilegiati dove il palazzo nobiliare costituiva il blasone per ostentare il potere della casata. Poi, con l’avvento della borghesia – periodo che da noi ha inizio poco meno di un secolo e mezzo fa dopo che Cagliari cessò di essere piazzaforte militare – il palazzo diventa il momento finale di un processo produttivo (l’industria edilizia) da immettere sul mercato, quale bene da cedere in proprietà o in locazione, con tutte le distorsioni che ciò ha comportato. Da qui l’esigenza di ripensare la città per dare una risposta anche in termini di decoro, alle esigenze dei ceti meno abbienti che reclamano case dignitose e a prezzi accessibili.
In una intervista hai dichiarato: “Ogni palazzo racchiude e racconta una serie di storie, un sottile intreccio di vicende e personaggi che si saldano come le pietre che formano il selciato delle sue strade. Le storie diventano allora l’anima dei luoghi”. Qual è la storia più suggestiva che ti ha maggiormente affascinato?
Forse è la vicenda storico-politico-passionale che vide protagonisti donna Francesca Zatrillas e don Silvestro Aymerich, conclusasi tragicamente per quest’ultimo. C’è tutto: dalla lotta antispagnola condotta all’interno degli Stamenti, gli antichi parlamenti sardi, al duplice omicidio del marchese di Laconi (prima voce dello Stamento militare) e poi del viceré Camarassa; della repressione spietata posta in essere dal nuovo viceré, il duca di San Germano, alla fuga d’amore. Insomma, tanta gioia e tanto dolore. Ma non è possibile neppure trascurare l’insurrezione popolare che culminò con la cacciata dei piemontesi nell’aprile del 1794. E poi la congiura di Palabanda del 1812 e l’incredibile vicenda delle false “Carte d’Arborea”.
Vizi e virtù di qualche illustre casata tra quelle da te studiate e raccontate nel libro?
In generale penso che alla nobiltà sarda, pur potendosi imputare non pochi difetti, non mancarono grandi virtù. La stessa fu in grado di esprimere una classe dirigente che, conoscendo profondamente le condizioni dell’Isola e il carattere dei suoi abitanti, avrebbe potuto fare molto per la Sardegna se la politica diffidente della Spagna non avesse trascurato questa forza che – non potendo essere contenuta – finì, quasi per ritorsione, a tenere altro il prestigio e la potenza della sua casta di fronte all’inconsistenza dei rappresentanti del sovrano: luogotenenti senza mezzi e capitani supremi senza truppe. Il non aver usufruito, soprattutto nel periodo che va dal XVI al XVIII secolo, di nobili appartenenti alla classe nobiliare sarda e aventi spiccate attitudini di governo e di comando – come ad esempio i marchesi di Laconi (i Castelvì e poi gli Aymerich) – fu un errore politico dei sovrani di Spagna e un grave danno per l’Isola.
Nel tuo libro parli di “Città del disamore” “per lungo tempo non amata dai sardi, ritenuta – a torto o a ragione – simbolo del potere, dunque, non produttiva, alla quale si contesta di aver sempre goduto il dolce senza l’amaro, succhiando il nettare dal resto dell’Isola, spesso accusata di essere rimasta ingabbiata nel reticolo della supponenza feudale o delle neo-aristocrazie borghesi”. Superata, credo, questa storica e anacronistica supponenza cui fai riferimento, da quale altro reticolo Cagliari è oggi ingabbiata? Se lo è, naturalmente?
Credo da se stessa, in quanto non è pienamente consapevole delle sue grandi potenzialità. Come ho scritto nel libro, Cagliari oggi è una grande finestra spalancata sul resto del mondo, momento di collegamento tra la Sardegna e le grandi correnti di pensiero che si sviluppano in ambito europeo, mediterraneo e internazionale con le quali è possibile scambiare saperi, conoscenze e innovazione. È una città con un ruolo metropolitano, una città più aperta verso la modernità ma che comunque si salda con la città storica, con quella parte del tessuto urbanistico e degli spazi in cui si è formata la coscienza civile e politica dei cagliaritani (e dei sardi più in generale) e la sua peculiare identità di popolo…”.
L’introduzione nelle scuole dello studio della storia della città di Cagliari e più in generale della Sardegna, della lingua o delle lingue sarde è un tema molto caro a intellettuali, storici, linguisti e studiosi di linguistica storica (glottologi), ma non sempre alle istituzioni e agli studenti. Non trovi vi sia una contraddizione col “senso di appartenenza” cui fai cenno nel libro?
Penso che il senso di appartenenza – che si sviluppa anche attraverso lo scambio culturale di saperi, conoscenze e innovazione – sia la strada maestra da percorrere. Naturalmente si tratta di un fenomeno complesso, di “lunga durata”, che non emerge d’incanto ma richiede un lavoro costante teso a favorire la conoscenza della nostra storia e della nostra memoria collettiva. In questo senso spero di aver dato con questo libro sui palazzi, le famiglie e le vicende (economiche, sociali e culturali) di Cagliari un piccolo contributo, una tessera di un mosaico ben più ampio che attende ulteriori apporti.
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