
L’edificio sacro si trova nella penisola del Sinis, sulla costa occidentale della Sardegna, vicino alle rovine di Tharros e in una suggestiva pianura lagunare. Il nome deriva da una piccola chiesa circondata da casupole, che ogni settembre attira pellegrini come pastori, pescatori e contadini dei territori vicini in occasione della festa del Santo. Dal pavimento della chiesetta una scalinata scende in un antico ipogeo con tre ambienti, raggruppati intorno a un atrio rotondo. L’edificio è scavato nella roccia nella parte inferiore, mentre sopra è costruito con filari di mattoni alternati a blocchetti di arenaria. Il corridoio e la cella hanno volta a botte, mentre l’atrio circolare è sormontato da una cupola bassa, con un pozzo al centro, elemento centrale della struttura. Le pareti e i soffitti sono decorati con graffiti e disegni di epoche diverse. Queste caratteristiche suggeriscono che si tratti di un tempio pagano nuragico dedicato al culto delle acque, poi convertito in santuario cristiano intorno al 500 d.C.
Tra le raffigurazioni si trova un dipinto di Ercole, divinità associata alle acque e alle sorgenti, che stringe il collo al leone Nemeo. Nella letteratura antica, Ercole è legato ai fiumi e alle sorgenti della Grecia, per la protezione delle acque terapeutiche, associate ad Asclepio e alle ninfe.
Questo semidio era considerato benefico per alcune malattie, come l’epilessia, chiamata “malattia di Ercole”, e per la colica si usava un amuleto con Ercole che strozza il leone. Fra le figure che coprono la parte arcuata della stanza, una donna con corona radiata, che sposta un velo e scopre il torso nudo, indossa una collana e regge uno scettro. Di fronte, un busto che la guarda, dall’aspetto di Hermes, e un piccolo Eros volante che porge un panno. Oltre, una ninfa seduta che gli rivolge le spalle e una che danza. Le ninfe sono divinità delle acque, spesso associate a Hermes.
I culti di divinità protettrici dei marinai spiegano anche molti graffiti tra le figure, raffiguranti navi, barche a remi e velieri. Tra questi si notano alcuni a due alberi verticali, rari nella marineria romana, e altri con un solo albero maestro e vela di artimone, scomparsa verso il IV secolo d.C., che testimoniano graffiti antichi, forse ex voto di marinai o preghiere di protezione. Altri disegni mostrano aurighi, carri nel circo e un alfabeto greco inciso su quattro righe, sormontato da un pesce. La Sardegna, isola del culto delle acque, ha numerosi pozzi sacri nuragici come questo, costruiti tra stagni e vicino alla costa. È interessante notare che molte chiese dedicate a S. Salvatore, soprattutto in Toscana, sorgono presso acque terapeutiche, e alcuni culti cristiani moderni conservano legami con antichi riti.
Oggi si pensa che il nome di S. Salvatore possa essere un epiteto di una divinità pagana benefica, come Ercole, il Salvatore. La chiesetta con l’ipogeo è oggi meta di pellegrinaggi cristiani, e la cappella moderna è solo l’ultima erede delle varie ristrutturazioni dell’edificio. Probabilmente l’ipogeo sotto la chiesa rimase ostruito e fu dimenticato per secoli, ma in epoca aragonese alcuni marinai giunti sul luogo hanno inciso, accanto ai primitivi ex voto delle navi graffite, schematiche immagini delle loro navi, assieme a un’iscrizione col Credo musulmano. Nuovamente caduto nell’oblio per alcuni secoli, questo suggestivo sito è stato riscoperto solo all’inizio del Novecento.
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