DICE MONTALBANO. La cantieristica preistorica: navi da guerra e navi da carico

Navicella sarda nuragica

Il dibattito sulla classificazione delle antiche navi sarde ha da tempo suscitato l’interesse di studiosi appartenenti a vari ambiti disciplinari. Un approccio utile per affrontare il problema consiste nel partire dalla finalità per cui le imbarcazioni venivano progettate: uso bellico oppure commerciale.
Le tipologie costruttive variavano a seconda dello scopo, anche se, in caso di necessità, una stessa imbarcazione potesse essere adattata ad usi diversi. Va considerato, inoltre, che la navigazione in mare aperto era pericolosa e i comandanti preferivano seguire rotte costiere per motivi di sicurezza.
Una prima distinzione può essere fatta sulla base della velocità: elemento essenziale per le navi da guerra, che infatti ricorrevano a una doppia propulsione, vela e remi. Dal punto di vista strutturale, la nave da guerra aveva come fulcro il rostro, ossia l’estremità anteriore della chiglia, asse portante di tutta l’imbarcazione.
Le distanze tra i porti venivano coperte a una velocità che consentisse soste periodiche, necessarie per il rifornimento di acqua e viveri. Di conseguenza, era indispensabile una conoscenza approfondita delle fonti d’acqua dolce presenti lungo le coste. La pianificazione di un viaggio richiedeva una stima precisa della velocità di crociera, che doveva aggirarsi intorno ai tre nodi (circa 5 km/h).

Tecniche di navigazione

Durante la navigazione, si faceva largo uso della vela, tuttavia, le navi da guerra, per garantire manovrabilità elevata in combattimento, disarmavano l’albero e la vela prima dello scontro. Le flotte raggiungevano il teatro delle operazioni all’alba e attaccavano da est verso ovest per sfruttare la posizione del sole alle spalle, così da rendersi visibili solo negli istanti precedenti la battaglia.
Il modello più semplice di nave da guerra era aperto, privo di ponte di coperta e mosso dai rematori. Per le navi da carico, l’elemento fondamentale era una carena ampia, in grado di ospitare grandi quantità di merci, sacrificando velocità e agilità. Le navi da guerra, invece, puntavano tutto sulla rapidità di manovra, vera chiave della loro efficacia. Queste imbarcazioni erano quindi progettate con una lunghezza accentuata rispetto alla larghezza, per migliorare l’idrodinamicità e per ospitare un numero maggiore di rematori.
Possiamo ipotizzare che le navi da carico avessero un rapporto lunghezza/larghezza di circa 3:1, mentre quello delle navi da guerra si avvicinava a un 6:1. Questa struttura snella, se da un lato garantiva velocità e forza d’urto, dall’altro le rendeva instabili e poco adatte alla navigazione in mare mosso. Per questo motivo, le battaglie navali si svolgevano generalmente in vista di costa. L’organizzazione dell’equipaggio prevedeva la presenza di un comandante a poppa e di un ufficiale a prua, incaricati rispettivamente della manovra e della difesa della nave

Organizzazione dello spazio a bordo

Lo spazio a bordo era limitato: ogni rematore disponeva di circa un metro quadrato. Tuttavia, era necessario prevedere un’area dedicata allo stivaggio dell’albero e della vela, che venivano smontati prima dei combattimenti. L’alberatura, quindi, doveva trovare posto sul ponte o in appositi alloggiamenti, per non intralciare le manovre dell’equipaggio.
Contrariamente a quanto spesso si crede, le vele delle navi antiche non erano efficaci solo con vento favorevole da poppa. Se ben orientata e parzialmente raccolta grazie all’uso di corde, la vela permetteva alla nave di avanzare anche con vento al traverso, offrendo così una maggiore versatilità nelle rotte di navigazione.
Le imbarcazioni più grandi erano dotate di un ponte largo quanto lo scafo e spesso presentavano due castelli: uno a prua e uno a poppa. Questi servivano come basi per le catapulte, impiegate per lanciare pietre o frecce contro le navi nemiche. Davanti al castello di prua veniva issato un simbolo: spesso si trattava di un’insegna sacra o di una statua della divinità protettrice dell’equipaggio. In altri casi si ricorreva a raffigurazioni di animali o figure mostruose, per incutere timore al nemico.
Il materiale utilizzato per la costruzione delle navi era fondamentale. I legni più pregiati, come cipresso, cedro e quercia, apprezzati per la loro durezza e resistenza, erano destinati alle parti strutturali principali. Pino e abete, più facilmente reperibili, venivano invece impiegati per le componenti secondarie

Orientamento in mare aperto

Le tecniche di costruzione navale dell’epoca presentano analogie con quelle odierne da pesca. La costruzione iniziava con la posa della chiglia, seguita dall’installazione delle ordinate e dei bagli, che formavano lo scheletro della nave. Su di essi venivano posati il ponte e il fasciame interno ed esterno. Lo scafo veniva poi calafatato e rivestito interamente di pece, conferendogli un aspetto completamente nero.
Le tecniche di navigazione variavano secondo la distanza da percorrere. Per rotte brevi si praticava la navigazione di piccolo cabotaggio, mantenendo la costa in vista, entro le 50 miglia marine, ma per raggiungere coste lontane era necessario affrontare la navigazione d’altura.
In alto mare, i navigatori si orientavano osservando il sole, le stelle o altri indizi ambientali, come la temperatura e l’umidità del vento o la direzione delle correnti. Un metodo ingegnoso consisteva nel trasportare a bordo alcuni uccelli, da liberare per determinare la vicinanza della terraferma. Alcune specie, come i passeracei, volano solo per brevi distanze; se la costa era lontana, gli uccelli ritornavano alla nave, fornendo così un prezioso indizio sulla posizione dell’imbarcazione.
Questo espediente è noto anche nel racconto biblico del Diluvio Universale, e trova conferma archeologica nelle navicelle nuragiche in bronzo, alcune delle quali presentano raffigurazioni di uccelli disposti lungo le battagliole, forse a testimonianza proprio di questa antica pratica di navigazione.

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