DICE MONTALBANO. L’acqua nella civiltà nuragica della Sardegna

Pozzo Matzanni

L’acqua, elemento essenziale per la vita, ha sempre rivestito un ruolo centrale nei culti religiosi delle antiche civiltà. Anche il cristianesimo ha ereditato questa tradizione: l’uso dell’acqua benedetta all’ingresso delle chiese, ad esempio, richiama direttamente l’antico uso dei bacili di trachite posti all’ingresso dei templi, dei nuraghi e dei pozzi sacri della Sardegna nuragica.
Uno dei luoghi più significativi in questo contesto è il santuario nuragico di Serri. Durante gli scavi, l’archeologo Antonio Taramelli documentò con precisione la presenza di un bacile in trachite collocato subito dopo l’ingresso della curia, o capanna delle riunioni, sul lato sinistro. Accanto a questo, furono rinvenuti altri oggetti di evidente valore cerimoniale e religioso: una piccola ara, un cippo e un secondo bacile rettangolare incastrato nel muro. Nel vestibolo del primo pozzo sacro di Matzanni fu ritrovato inoltre un altarino finemente lavorato, a testimonianza del carattere sacro di questa struttura. Un altarino simile fu rinvenuto anche nel terzo pozzo e oggi è conservato presso il Museo Sacro di Villacidro, situato di fronte alla chiesa di Santa Barbara.
Il culto dell’acqua era chiaramente al centro di questi luoghi. In Sardegna sono ancora visibili numerosi pozzi sacri risalenti al periodo nuragico, alcuni dei quali ben conservati.

Architetture per l'acqua

Nella località di Matzanni, tra Vallermosa e Villacidro, si trovano 3 pozzi costruiti secondo uno schema ricorrente: un pozzo principale coperto da una cupola in pietra (tholos) con una scalinata che conduceva a un atrio o vestibolo. Ogni sezione di questi edifici sembra aver avuto una funzione specifica, probabilmente con diversi livelli di accesso.
Il pozzo principale ha un diametro compreso tra i 2 e i 3 m, ed è coperto con la tecnica ad aggetto detta appunto tholos, nome ripreso dai Greci per descrivere edifici simili presenti in Sardegna. Dal fondo si accedeva a una scalinata di 12-13 gradini, che conduceva a un atrio in pietra coperto, probabilmente, con travi di legno e altri materiali. L’atrio era pavimentato e lungo i lati si trovavano sedili in pietra, anche se nel pozzo C di Matzanni il sedile era presente solo sul lato destro. Questi ambienti avevano una chiara funzione religiosa: sono stati infatti rinvenuti oggetti rituali e tracce di cerimonie sacrificali.
Anche a Serri, nell’atrio del pozzo sacro, si conserva ancora un bacile e una canaletta che convogliava l’acqua verso l’esterno. In quest’area furono trovati numerosi ex-voto, tra cui bronzetti raffiguranti figure umane. Nell’atrio del pozzo A di Matzanni, ad esempio, fu rinvenuta una piccola ara (oggi perduta), ma già documentata dallo studioso Lovisato attraverso uno schizzo. Taramelli, interessatosi alla questione, notò similitudini con oggetti rinvenuti in altre regioni del Mediterraneo orientale.

I pozzi di Matzanni

Nonostante numerosi studi, non si conoscono con certezza le cerimonie che si svolgevano presso questi luoghi sacri. Tuttavia, la ricerca ha cercato di fornire interpretazioni sulle funzioni religiose, terapeutiche e sociali dell’acqua in ambito nuragico. Uno dei primi studiosi ad affrontare il tema fu Raffaele Petazzoni, autore di importanti analisi sul culto delle acque in Sardegna. Egli descrisse dettagliatamente i due pozzi allora noti di Matzanni (il terzo sarebbe stato scoperto solo più tardi) e ne tracciò uno schizzo.
Secondo Petazzoni, l’acqua dei pozzi non proveniva necessariamente da una sorgente naturale, ma veniva raccolta e conservata in una cavità talvolta chiusa con un coperchio ligneo. A suo avviso, quest’acqua possedeva virtù sacre e terapeutiche. Le sue ipotesi, sebbene in parte superate da studi più recenti, rimangono fondamentali per la comprensione del contesto rituale nuragico.
Ma per quali scopi veniva utilizzata quest’acqua così preziosa? Le sue funzioni erano molteplici: terapeutiche, religiose e civili. Gli antichi autori greci riferivano dell’esistenza, in Sardegna, di sorgenti d’acqua miracolosa, calda e fredda. Un esempio ancora oggi attivo è la sorgente di S’Acqua Cotta, tra Vallermosa e Villasor, utilizzata fin dall’antichità per scopi curativi e recentemente concessa a una società di acque minerali. A questa fonte si attribuivano proprietà benefiche per la vista, i dolori articolari e i disturbi causati da morsi di insetti.

L'ordalia

Numerosi bronzetti rinvenuti nei vestiboli dei pozzi sacri sembrano connessi alle pratiche religiose. Spesso interpretati come ex-voto, rappresentano figure umane in atteggiamenti di offerta. A Serri, ad esempio, è stato rinvenuto un bronzetto raffigurante una madre nell’atto di ringraziare per la guarigione del figlio. A Matzanni, gli scavi portarono alla luce una ciotola in bronzo dorato, una moneta e il celebre bronzetto detto Barbetta, interpretato da Lilliu come un popolano che offre un dono alla divinità.
Nella visione religiosa dei protosardi, medicina, magia e spiritualità si intrecciavano profondamente. Le malattie erano spesso attribuite a cause divine o misteriose, e si credeva che la divinità potesse intervenire attraverso l’acqua sacra, considerata un mezzo per ottenere la guarigione. Le cerimonie di cura facevano ampio uso di quest’acqua. Petazzoni ipotizzò che le strutture circolari presenti nei pressi dei pozzi di Matzanni potessero essere alloggi per sacerdoti o fedeli, come nel santuario di Santa Vittoria.
Oltre alle pratiche terapeutiche, vi si svolgevano anche rituali di tipo magico-religioso, come l’ordalia: un’antica forma di giudizio divino attraverso l’uso dell’acqua lustrale. Questo rito serviva a smascherare i colpevoli di crimini, sfruttando il potere purificatore e rivelatore dell’acqua sacra. Il pozzo sacro era il fulcro di questo rito, forse dedicato a una divinità locale o a forze primordiali della natura.

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