Gianni Tumbarinu: il Montiferru dopo l’incendio, tra impegno e tutela

Gianni Tambarinu
Gianni Tambarinu

Gianni Tumbarinu, ingegnere e volontario, si dedica alla sicurezza e alla gestione delle emergenze. Presidente dell’odv “La Fenice Cuglieri”, opera nella Protezione Civile dal 2021, con esperienza sul campo e un passato di volontariato in diversi settori. Per due mandati ha guidato la Pro Loco, promuovendo il territorio e la coesione sociale. Ha partecipato a diverse missioni di emergenza, tra cui l’incendio del Montiferru, che ha devastato l’agro di Cuglieri e dei comuni vicini. Lo abbiamo intervistato per capire cosa resta dopo le fiamme, quali sfide affronta oggi il territorio e come si può proteggere il futuro di questa terra segnata dal fuoco.

Cosa non ha funzionato?

Per rispondere a questa domanda, è necessaria una premessa. Nei giorni di luglio 2021, il rischio incendi era estremamente alto: una combinazione di fattori rendeva indispensabile la massima allerta.
Come sappiamo, il giorno precedente un’auto aveva preso fuoco nel territorio di Bonarcado, scatenando un incendio che aveva già divorato diversi ettari. Il giorno successivo, durante la bonifica, non si è riusciti a contenere una ripartenza delle fiamme, e da quel momento il fuoco è diventato ingovernabile, avanzando senza che le forze in campo potessero più arginarlo. A complicare ulteriormente la situazione, numerosi incendi divampavano simultaneamente in altre zone della Sardegna, impegnando i mezzi aerei su più fronti.
Non ero presente nella fase iniziale della bonifica, quindi non posso dire con certezza cosa non abbia funzionato. Ciò che è certo è che una bonifica accurata è fondamentale: i dati dimostrano che molti incendi possono riprendere vita anche settimane dopo il primo spegnimento.

Cosa bisogna fare perché non riaccada?

Non esiste una sola risposta. La prevenzione richiede l’impegno di tutti: dalle istituzioni ai cittadini.
Un tempo, Cuglieri aveva circa mille abitanti in più, e la maggior parte delle famiglie viveva grazie al lavoro sul territorio. Questo significava anche sorvegliare, curare e proteggere l’ambiente. Pensiamo a un piccolo esempio: ogni famiglia aveva un camino e un forno per il pane, e ogni giorno si raccoglieva legna, rimuovendo così potenziale combustibile dal suolo. Oggi, il nostro stile di vita è cambiato. Per diversi motivi – inclusa una tutela ambientale a volte troppo rigida – ci siamo allontanati dalle campagne e dai monti.
Dobbiamo incentivare il ritorno delle persone a vivere e lavorare sul territorio, specialmente nelle aree montane. Una gestione sostenibile del territorio non significa solo porre vincoli, ma anche creare opportunità di sviluppo. L’Agenda 2030 ce lo insegna: tutelare significa scegliere come vivere e valorizzare un territorio.

Quale ruolo hanno i cittadini?

Un altro elemento cruciale è il ruolo del cittadino. Il codice della protezione civile lo pone al centro del sistema, non più come spettatore passivo, ma come parte attiva. Ognuno di noi può fare la sua parte, aderendo a un’organizzazione di volontariato o semplicemente adottando comportamenti più responsabili.
Va detto anche che il 99 per cento degli incendi è di origine antropica. Quindi, la soluzione sta proprio nel comportamento umano. C’è poi un’altra realtà, più dura da accettare: il lato criminale. Servono educazione ambientale nelle scuole e pene più severe per i piromani.

Cosa è la lotta attiva?

Se un incendio non viene affrontato immediatamente, diventa rapidamente incontrollabile, anche con il supporto della flotta aerea. È fondamentale avere sul territorio squadre formate ed equipaggiate per intervenire in tempi rapidissimi.
Ho letto con piacere che il nuovo piano regionale anti incendi prevede la disponibilità immediata di mezzi per le organizzazioni di volontariato della protezione civile. Speriamo che anche a Cuglieri arrivi presto un nuovo mezzo operativo allestito per l’antincendio boschivo. I volontari hanno completato la formazione e stiamo acquistando i dispositivi di protezione individuale. Stiamo facendo la nostra parte, dimostrando di crederci ancora. Perché conoscere il territorio è un vantaggio prezioso: può fare la differenza tra contenere un incendio o perderlo del tutto.

Quali sono le piante che hanno subito più danni?

L’incendio del Montiferru è stato talmente vasto da non risparmiare alcuna specie. Ma il danno più devastante è stato negli oliveti: decine di migliaia di alberi secolari sono andati perduti.
Qui non si tratta solo di una perdita economica, ma di una ferita nell’identità stessa di un popolo. Ogni cuglieritano, indipendentemente dal lavoro che faceva, aveva o gestiva un oliveto. Quegli alberi erano il legame comune di un’intera comunità.

Come va il rimboschimento?

La piantumazione di nuove piante procede in tutto il territorio, grazie ai ristori, alle tante donazioni e, soprattutto, al lavoro silenzioso di ogni cuglieritano.
Vorrei sottolineare un aspetto: la natura ha i suoi tempi, diversi da quelli dell’uomo. Ma vedere tanti giovani e anziani piantare nuovi olivi, curarli e seguirli con amore, sapendo che i frutti arriveranno solo per le generazioni future, fa capire quanto l’essere umano abbia dentro di sé una forza straordinaria.
Ci vorranno decenni per ritrovare anche solo un frammento di ciò che avevamo prima dell’incendio. Ma andiamo avanti, con la consapevolezza e il rispetto per chi, prima di noi, ha lavorato questa terra.

Qual è la situazione economica dopo l'accaduto?

Siamo andati oltre la resilienza: siamo nella fase della rigenerazione. Ci stiamo reinventando, perché quello che prima era sicuro, ora non c’è più.
Certo, gli interventi sul territorio hanno portato un po’ di lavoro, ma il vuoto lasciato è enorme. Se pensiamo a quanto olio producevano le decine di migliaia di piante distrutte, ci rendiamo conto della perdita economica che colpirà questa comunità per anni, forse decenni.
Ma una cosa è certa: non smetteremo di lottare per ricostruire ciò che ci è stato tolto.

prova
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