
Trentuno anni dopo la sua scomparsa, il mistero del Volpe 132 rimane irrisolto. La sera del 2 marzo 1994, un elicottero NH-500 della Guardia di Finanza decollò da Cagliari Elmas per una missione di ricognizione lungo la costa sud della Sardegna. A bordo, i piloti Fabrizio Sedda e Gianfranco Deriu. Mezz’ora dopo, il velivolo scomparve dai radar. Di loro non fu mai trovata traccia.
Le ricerche portarono al ritrovamento di pochi frammenti: alcune parti del velivolo, il casco di uno dei piloti. Ma nessun rottame significativo. Nessun corpo. Secondo i periti dell’Aeronautica Militare, l’elicottero precipitò in mare aperto, a sud di Capo Carbonara, il punto dell’ultima traccia radar registrata alle 19,15. Eppure, i detriti furono recuperati diverse miglia più a nord, tra Capo Ferrato e l’isola di Serpentara.
Nel 2003, una perizia dell’ingegnere aeronautico Donato Firrao avanzò un’ipotesi inquietante: il Volpe 132 potrebbe essere esploso in volo, colpito da proiettili sparati dal basso. Forse da una nave mercantile, forse da un’imbarcazione militare non identificata. Alcuni testimoni riferirono di aver visto un cargo alla fonda proprio a Capo Ferrato quella sera. Ma nessun riscontro ufficiale confermò questa versione.
Ora, documenti recentemente desecretati aggiungono un nuovo elemento al mistero. Il quotidiano Avvenire ha avuto accesso a una testimonianza inedita: il 20 febbraio 1998, il pilota della Guardia di Finanza Alessandro Comitini, collega degli uomini a bordo del Volpe 132, fu interrogato dalla procura. Gli investigatori gli chiesero delle normali procedure di volo. Poi lo misero di fronte a un dettaglio fino ad allora mai emerso.
«Sapeva che il Volpe 132, prima di sparire, si è abbassato fino a sfiorare il suolo vicino alla stazione meteo dell’Aeronautica Militare di Capo Carbonara?»
Comitini rispose di no. Aggiungendo che una manovra del genere—un hovering statico a bassissima quota—non era né prevista né sicura in quelle condizioni. «Se è davvero accaduto, è una manovra anomala. Non saprei spiegare perché sia stata eseguita».
Il dettaglio cambia la dinamica degli eventi. Perché l’elicottero si è abbassato? Cosa stava facendo nei pressi di una struttura militare? E soprattutto: chi ha visto o registrato quella manovra, se gli investigatori ne erano a conoscenza quattro anni dopo l’incidente?
Alcune ipotesi potrebbero spiegare l’hovering a Capo Carbonara. Forse l’elicottero doveva prelevare o consegnare qualcosa. Forse qualcuno. Poco plausibile l’ipotesi di un guasto: in quel caso, l’equipaggio avrebbe tentato un atterraggio d’emergenza, non avrebbe ripreso quota per dirigersi verso il mare aperto.
Ma il mistero non finisce qui. Un altro dettaglio anomalo emerge dal racconto di Comitini. Dopo la scomparsa del Volpe 132, i piloti della Sezione Aerea della Guardia di Finanza di Elmas non furono autorizzati a partecipare alle ricerche. «Né quella sera, né nei giorni successivi», ha dichiarato.
Le operazioni furono condotte solo dalla Marina Militare. Dal 2 marzo al 9 aprile 1994, il cacciamine Lerici perlustrò 50 miglia quadrate di fondale. Non trovò nulla.
A distanza di oltre tre decenni, il caso del Volpe 132 resta senza risposte definitive. Un elicottero scomparso, un’ultima manovra inspiegabile, una possibile esplosione in volo. E un silenzio che, dopo trentuno anni, pesa ancora come un enigma irrisolto nei cieli della Sardegna.


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