Il Mostro di Firenze era di Villacidro?

Salvatore Vinci

Le notti delle campagne fiorentine nascondono un oscuro segreto. Tra il 1968 e il 1985 un assassino invisibile trasforma luoghi di quiete in scene di crimini efferati. Sedici persone, massacrate con una ferocia irrazionale. Ogni scena del crimine rivela un macabro rituale: una pistola beretta calibro 22 e corpi mutilati con una precisione chirurgica.

Mentre le indagini inseguono piste labirintiche e inconcludenti, si affaccia silenziosamente la figura ambigua di un uomo che passa inosservato, il cui passato custodisce segreti che potrebbero essere la chiave di una porta da riaprire. Le investigazioni sembrano scivolare su di lui come acqua nella roccia; un dettaglio sussurrato nelle indagini viene abbandonato come se la sua storia fosse troppo complicata, troppo scomoda.

E’ il giornalista Giuseppe Rinaldi, insieme al colonnello Nunziato Torrisi, a rilanciare oggi una teoria tanto inquietante quanto sconvolgente: il mostro di Firenze potrebbe essere un uomo di Villacidro. Il loro libro, “Il mostro è libero (se non è morto)” pubblicato a maggio del 2024, è un viaggio nella mente oscura di un assassino e nei possibili fallimenti di un sistema investigativo.

Salvatore Vinci, il burattinaio

E’ il 1 dicembre del 1935 quando a Villacidro nasce Salvatore Vinci. Cresce in una Sardegna avvolta da silenzi costretti in una rigida morale, dove temi come l’omosessualità e la bisessualità restano tabu’ impronunciabili. Un ambiente dove tutto ciò che si discosta dalla norma si affronta con sguardi bassi e segreti murati tra le pareti domestiche.

E’ qui che Salvatore intreccia una singolare “amicizia” con un compaesano, Salvatore Steri, nato nel 1939 e quindi di 4 anni più giovane; un rapporto dal confine ambiguo che sembra sfidare le convenzioni sociali dell’epoca. Probabilmente per poter mantenere questa relazione lontano dai sospetti altrui, e forse per celare i propri tormenti interiori, Vinci studia un piano diabolico che vede coinvolta la sorella di Salvatore Steri, Barbarina. Barbarina Steri è bella, e ha una gran voglia di vivere.

La prima morte sospetta

E’ un pomeriggio del 1958, Salvatore Vinci ha 23 anni. Sapendo di trovare Barbarina sola a casa, la aggredisce sessualmente: è una violenza inaudita, la povera ragazza non riesce a difendersi. Barbarina resta incinta, a quel punto è costretta dalla famiglia a sposarsi.

È un matrimonio più di facciata che di sostanza. La donna resta spesso sola. Persino nel momento più delicato della sua vita, quando dà alla luce il loro figlio Antonio, Salvatore è altrove. I due “cognati”, Steri e Vinci, passano tutto il tempo assieme, alimentando in Barbarina un’inquietudine tale da spingerla a rifugiarsi nelle braccia del suo primo amore, un ragazzo di nome Antonio Pili. Barbarina subisce continui maltrattamenti: pugni, calci. Comincia a meditare di lasciare quel marito orco. Un progetto che non riuscirà mai a portare a termine.

Nella notte del 14 gennaio del 1960, Barbarina Steri viene trovata morta nella sua abitazione per avvelenamento da gas liberato da una bombola, il cui tubo pare fosse adagiato sul suo cuscino. Per i dottori, non ci sono dubbi: sincope respiratoria. Il caso è archiviato come suicidio, ma la gente la pensa diversamente.

Salvatore Vinci in Toscana

Quando muore la moglie, Barbarina, Salvatore ha appena compiuto 24 anni. Decide di lasciare la Sardegna per trasferirsi in Toscana, con sé porta un passato torbido e un presente fatto di ambiguità e segreti.

Vicino a Firenze c’è un piccolo paese, si chiama Signa. Un nome che rimarrà per sempre impresso nella memoria degli italiani a causa del Mostro. A Signa ci sono alcuni bar. Uno di questi è chiamato “il bar dei sardi” perché è lì che si ritrovano gli emigrati dell’isola. Proprio in quel bar, a Signa, Salvatore Vinci incontra Barbara Locci e Stefano Mele. Sardi, poveri, si sono trasferiti in Toscana per trovare lavoro.

L’ape Regina

Barbara Locci e Stefano Mele sono sposati, ma lei lo tradisce di continuo. Mele ha dei disturbi cognitivi e Barbara ne approfitta. Tra i tanti legami amorosi dell’Ape Regina, spicca quello con Salvatore Vinci, all’epoca 25enne. La relazione diventa così sfacciata che per la gente del posto è lui il vero marito di Barbara. Il 25 dicembre del 1961 Barbara dà alla luce Natalino. Tutti sanno che Natalino non è figlio di Stefano Mele e mentre la relazione con il marito si consuma nell’indifferenza e prosegue l’intreccio amoroso con Salvatore, Barbara intrattiene rapporti anche con un altro giovane, un militare siciliano: Antonio Lo Bianco.

E’ il 21 agosto 1968, a Signa vengono rinvenuti due corpi in una macchina: sono di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, i carabinieri li trovano dentro una Giulietta bianca, uno accanto all’altra. Il finestrino posteriore dell’auto è abbassato, è da lì che una Beretta calibro 22 ha sparato otto colpi di pistola.

Dovrebbe essere il classico delitto passionale: Stefano Mele, devastato dal tradimento della moglie, in un impeto d’ira uccide lei e il suo amante. Ma un elemento viene trascurato: Stefano Mele, pur ammettendo di aver commesso il fatto, racconta di un uomo che gli avrebbe fornito la pistola: Salvatore Vinci. “E’ stato lui a spingermi a farlo” dice, ma subito ritratta, si assume ogni colpa e viene messo in carcere. Il caso è chiuso. Trascorrono sei anni da quel delitto apparentemente “isolato” e di mostri ancora non se ne parla.

I delitti del Mostro

Nel 1974, la Beretta calibro 22 uccide due persone: Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini. Alla donna vengono inflitte numerose ferite con un’arma da taglio. Nel 1981, Giovanni Foggi e Carmela De Nuccio, vengono uccisi ma il killer non si accontenta di sparare. Carmela viene crudelmente mutilata, il suo pube viene asportato con una precisione chirurgica. Questa è la firma insanguinata del Mostro che lo contraddistinguerà da ogni altro criminale.

Nel 1981, Susanna Baldi e Stefano Cambi. Nel 1982, Paolo Mainardi e Antonella Migliorini. E ancora, l’anno dopo, 1983: due uomini. Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rusch, pur non trattandosi di una coppia eterosessuale, l’assassino non fa eccezioni. Così come per Claudio Stefanacci e Pia Rondini: il Mostro asporta non solo il pube ma anche il seno sinistro di Pia. È il 29 luglio 1984. Ogni delitto è più atroce, ora ogni segno è più chiaro: una mano sola, sempre la stessa, ha iniziato questo gioco di sangue cominciato nel 1968 e mai interrotto.

Un mistero irrisolto e un alibi che crolla

E’ il 1984 quando Il colonnello Nunziato Torrisi, comandante del Reparto operativo dei Carabinieri, concentra le sue indagini su Salvatore Vinci. Il suo alibi non regge, non convince. Si cerca la pistola calibro 22, la stessa che ha commesso tutti quei delitti efferati. Durante una perquisizione nella sua abitazione, si rinvengono falli di gomma, vegetali dalla forma fallica, una “Pattadese” lunga più di 10 centimetri e con un manico di 13, ma l’oggetto chiave è un altro: uno straccio macchiato di sangue e sporco di polvere da sparo. Viene messo al sicuro nell’Ufficio corpi di reato del Tribunale di Firenze. E da lì sparirà, inspiegabilmente.
Si apre la strada ad altre teorie che culmina nella condanna dei cosiddetti “compagni di merende”: Pietro Pacciani, Mario Vanni, Giancarlo Lotti, ma il Mostro continua ad uccidere.

L’ultimo capitolo del Mostro

L’atto finale si consuma l’8 settembre 1985, con l’orrore che si abbatte su Nadine Mauriot e Jean-Michel Kraveichvili. Dopo averli uccisi, il Mostro tenta persino di bruciarne i corpi, lasciando dietro di sé l’ultima, macabra scena di un copione insanguinato. Nel 1986, Salvatore Vinci riceve un avviso di garanzia: è ufficialmente indagato per gli otto duplici omicidi.

La pista sarda sembra prendere forma sotto la guida del colonnello Torrisi, ma qualcosa si spezza. Torrisi viene improvvisamente trasferito a Lecce, costretto a lasciare il caso e con lui svanisce ogni possibilità di approfondire l’indagine. Intanto, i magistrati di Cagliari ordinano l’arresto di Salvatore Vinci, questa volta per la misteriosa morte di Barbarina Steri avvenuta alcuni decenni prima.

Tuttavia, il processo si conclude con un’assoluzione, e Vinci, come un’ombra, sparisce nel nulla. Di lui non resta che un enigma: c’è chi giura che sia ancora vivo, nascosto in un piccolo paese della Spagna. Il suo nome continua ad aleggiare sussurrato come un segreto mai svelato.

Il libro di Rinaldi: una nuova luce sul caso

Pino Rinaldi e Nunziato Torrisi ci guidano in un viaggio attraverso uno dei misteri piu’ inquietanti della cronaca italiana. La mancanza di prove solide, unita ai contrasti tra gli inquirenti, ha condotto a conclusioni affrettate, lasciando irrisolti molti interrogativi sulla reale identità del Mostro di Firenze.

“Il mostro è uno molto intelligente, che sa muoversi di notte in campagna a occhi chiusi, che sa usare il coltello non come gli altri. Uno che una volta ha avuto una grandissima delusione.”
Il mostro è libero (se non è morto), Giuseppe Rinaldi – Nunziato Torrisi.

prova
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