
L’aeroporto di Fenosu, a pochi chilometri da Oristano, offre oggi un’unica certezza: il nulla a bordo. La struttura appare come un’opera incompiuta, una promessa tradita. Il vasto piazzale, dove un tempo decine di voli charter e regionali avrebbero dovuto alzarsi in volo, è un deserto di cemento, un panorama immobile e disarmante. Nessun aereo rulla, nessuna scaletta si abbassa, nessun passeggero attende il suo imbarco. Nessun pilota pronto a partire. L’infrastruttura è lì, intatta ma inutilizzata, come un teatro senza attori né pubblico. Non c’è biglietteria, non c’è sala d’attesa, non c’è alcun chiosco o bar. Nemmeno un cartello luminoso, un’insegna, un annuncio automatico a rompere la monotonia. Impossibile anche ottenere una dichiarazione perché a Fenosu non c’è presenza umana e i cani randagi ancora non parlano. Le partenze e gli arrivi sono solo un ricordo, congelato al 2011, anno della chiusura definitiva. L’aeroporto di Oristano-Fenosu è gestito dalla Sogaeor, società privata che opera in virtù di una concessione ventennale rilasciata dall’Enac nel 2023. Ma a due anni dalla firma, l’unico segnale di attività è la falciatrice che taglia l’erba alta.
Osservando tra le tribune vuote e gli hangar in ombra, si avverte una solitudine straniante, quasi irreale: nessun banco check-in, nessun annuncio di gate, nessuna coda di passeggeri con i trolley trascinati sul pavimento. Solo l’eco del vento e il ronzio occasionale degli agenti di servizio che entrano ed escono dalle basi e dai loro uffici squarcia il rumore del silenzio. Gli edifici sembrano sospesi nel tempo, intrappolati in un’attesa che non ha mai trovato risposte. Le vetrate, un tempo trasparenti e attraversate dalla luce, ora riflettono solo il vuoto. I corridoi, nati per accogliere flussi di persone e speranze di viaggio, oggi ospitano soltanto la polvere.
Fenosu è diventato il simbolo di un’occasione mancata, un esempio lampante di come la pianificazione, se non seguita da una visione concreta, e imprenditorie forti, possano generare cattedrali nel deserto. Oggi custodisce soltanto il silenzio di un’opportunità sprecata. Ma il suo potenziale non è svanito del tutto: giace, silente, sotto il cemento, in attesa di una nuova volontà politica, di un progetto coerente, di una direzione condivisa. Riaprirlo significherebbe restituire ai passeggeri — e all’intero territorio — l’infrastruttura che desiderano e meritano. Vorrebbe dire offrire nuove rotte, nuovi scambi, nuove possibilità di sviluppo economico e turistico. Vorrebbe dire far ripartire un motore rimasto troppo a lungo fermo. Per Oristano, per la Sardegna centrale, per chi crede ancora che volare sia possibile.
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