
Negli ultimi 15 anni, la produzione ortofrutticola in Sardegna ha subito un crollo del 70 per cento. Il dato racconta una crisi profonda che ha messo in ginocchio agricoltori e produttori locali, tra importazioni sempre più aggressive, costi di produzione fuori controllo e un progressivo spopolamento delle campagne.
A denunciare la gravità della situazione è Giorgio Licheri, direttore del Mercato Agroalimentare della Sardegna, che sulle sue pagine social ha lanciato un appello per un intervento immediato.
“Di fronte a numeri così drastici, è normale chiedersi: di chi è la colpa? Spesso si punta il dito sull’importazione di frutta e verdura dalla Spagna e dal Nord Africa, in particolare dal Marocco. È vero, la concorrenza estera ha avuto un impatto forte. Ma questa è solo una parte del problema. La realtà è molto più complessa e affonda le radici in decenni di scelte sbagliate, cambiamenti culturali e opportunità non sfruttate.”
Mentre in Sardegna la produzione crollava, in altri paesi europei il comparto ortofrutticolo si rafforzava. La Spagna, oggi leader nel settore, ha saputo investire in modo strategico, sfruttando al meglio i fondi comunitari e puntando su aziende di grandi dimensioni, capaci di ridurre i costi e aumentare la produttività.
In Sardegna, invece, il modello agricolo è rimasto legato a piccole aziende familiari, spesso prive delle risorse necessarie per innovare. La grande distribuzione, che oggi controlla la maggior parte del mercato, impone prezzi bassi e favorisce le importazioni, riducendo lo spazio per i prodotti locali. Nei supermercati sardi, infatti, solo il 10 per cento dell’ortofrutta proviene dall’isola.
Licheri, nel suo intervento, sottolinea quanto sia difficile per gli agricoltori competere in queste condizioni: “non possiamo competere con le zucchine spagnole che arrivano qui a meno di un euro al chilo. I nostri costi di produzione sono il doppio.”
Un altro elemento che ha aggravato la crisi è il progressivo spopolamento delle aree rurali. Per decenni, l’agricoltura è stata percepita come un settore poco remunerativo e privo di prospettive. Tra gli anni ’80 e ’90, si è diffusa l’idea che lavorare nei campi fosse una scelta di ripiego e che i giovani dovessero cercare opportunità altrove. Il risultato è stato un drastico calo del ricambio generazionale.
I dati mostrano chiaramente il declino: la superficie coltivata a carciofi è scesa da 16.000 a poco più di 3.000 ettari, la produzione di pomodori – un tempo eccellenza dell’isola – è quasi scomparsa, e lo stesso vale per agrumi e pesche.
A questo si aggiunge l’aumento dei costi di produzione, diventato ormai insostenibile. Il prezzo del gasolio agricolo è più che raddoppiato, le bollette energetiche incidono pesantemente sui bilanci aziendali e il costo della manodopera è in costante crescita. Eppure, i prezzi di vendita al dettaglio restano invariati da anni, lasciando gli agricoltori in una situazione sempre più precaria.
Come se non bastasse, il cambiamento climatico sta rendendo il lavoro nei campi ancora più difficile. Le ondate di calore sempre più intense e le temperature sopra i 40 gradi stanno mettendo a dura prova le coltivazioni. Nel 2023, due settimane consecutive di caldo estremo hanno compromesso interi raccolti, spingendo molti produttori ad abbandonare le serre. Il rischio di perdite è ormai troppo alto per molti di loro.
Sui suoi canali social, Giorgio Licheri indica le azioni necessarie per salvare il comparto ortofrutticolo sardo, sottolineando l’urgenza di interventi concreti. La priorità, afferma, è l’innovazione tecnologica, con investimenti in sistemi di irrigazione più efficienti, serre sostenibili e tecniche agricole avanzate per ridurre i costi e migliorare la produttività.
Un altro punto chiave è il rafforzamento della commercializzazione dei prodotti locali, garantendo ai produttori un accesso più equo alla grande distribuzione e valorizzando le eccellenze sarde attraverso certificazioni e tracciabilità. Secondo Licheri, una maggiore integrazione nella filiera corta e una minore dipendenza dalle importazioni potrebbero rilanciare il settore.
Fondamentale anche l’aggregazione tra imprese, necessaria per superare la frammentazione del comparto. Creare cooperative e consorzi permetterebbe di ottimizzare la logistica, abbattere i costi di produzione e aumentare la competitività sui mercati.
Infine, Licheri sottolinea la necessità di un cambio culturale per riportare i giovani nelle campagne. L’agricoltura, spiega, non è solo tradizione e fatica, ma anche innovazione e impresa. Per questo, è essenziale investire nella formazione, rafforzando il legame tra scuole agrarie, università e aziende agricole, così da incentivare una nuova generazione di imprenditori del settore.
Il tempo per intervenire sta per scadere. Se non verranno adottate misure efficaci nei prossimi anni, il settore ortofrutticolo sardo rischia di scomparire del tutto, portando con sé un pezzo fondamentale dell’economia e dell’identità dell’isola. Licheri, nel suo post social, lancia un monito chiaro:
“Alla Sardegna è rimasto ben poco: turismo e agroalimentare. Non possiamo permetterci di perdere anche questo.” L’ortofrutta non può più essere considerata un settore marginale. Servono investimenti, programmazione e un’azione decisa da parte delle istituzioni e degli operatori del settore. O si interviene ora, o il destino dell’agricoltura sarda è segnato.
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