
La decisione della Corte Costituzionale, che ha dichiarato illegittima la moratoria di 18 mesi sulle rinnovabili in Sardegna, apre scenari di incertezza per il settore e per la politica energetica regionale. Sebbene la norma fosse già stata abrogata dalla legge sulle aree idonee, la Consulta ha stabilito che la sua applicazione ha avuto effetti concreti, rendendo possibile una serie di ricorsi e contenziosi. Il rischio è che gli operatori del settore, penalizzati dallo stop ai procedimenti autorizzativi, possano impugnare gli atti amministrativi e chiedere risarcimenti per i danni subiti.
Ma la sentenza non chiude il caso: la legge che ha sostituito la moratoria è stata impugnata dal Consiglio dei Ministri, che ne contesta alcune disposizioni ritenendole in contrasto con la normativa nazionale ed europea. Se anche questa venisse dichiarata incostituzionale, la Sardegna si troverebbe in un vuoto normativo con conseguenze imprevedibili per la gestione del settore energetico e per il territorio.
Uno degli effetti più immediati della sentenza riguarda la possibilità di ricorsi da parte delle aziende colpite dalla moratoria. La sospensione delle autorizzazioni, avvenuta nel periodo in cui la norma era in vigore, potrebbe essere considerata un danno economico per gli operatori del settore, che ora potrebbero chiedere alla Regione un risarcimento.
Un’eventuale ondata di ricorsi non solo metterebbe sotto pressione i bilanci della Regione, ma rischierebbe anche di bloccare ulteriormente il settore, generando nuove incertezze per gli investitori. In un momento in cui il Paese punta a velocizzare la transizione energetica, la Sardegna potrebbe trovarsi in una situazione di stallo, tra procedure legali e difficoltà amministrative.
Se la moratoria è stata cancellata, resta in bilico la legge che l’ha sostituita. Il Governo centrale ha impugnato il provvedimento, sostenendo che alcune disposizioni violano la normativa nazionale e i principi europei sulle energie rinnovabili. La Corte Costituzionale dovrà esprimersi su questo punto e, se dovesse accogliere il ricorso, la Sardegna si troverebbe senza una regolamentazione specifica per la gestione degli impianti.
Uno scenario di questo tipo aprirebbe due possibilità: la prima è un periodo di liberalizzazione senza vincoli regionali, in cui le autorizzazioni seguirebbero esclusivamente le norme nazionali; la seconda è la necessità per la Regione di riscrivere la legge, cercando un compromesso tra tutela del territorio e sviluppo delle rinnovabili. In entrambi i casi, i tempi per avere una normativa stabile rischiano di allungarsi, creando ulteriore incertezza per gli investitori e per le amministrazioni locali.
La vicenda mette in luce un tema più ampio: il delicato rapporto tra competenze regionali e indirizzi nazionali in materia di energia. Da un lato, la Sardegna rivendica il diritto di regolamentare lo sviluppo delle rinnovabili sul proprio territorio per evitare speculazioni e garantire una pianificazione sostenibile; dall’altro, il quadro normativo nazionale ed europeo impone procedure semplificate per favorire la transizione ecologica e il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione.
Trovare un punto di equilibrio tra queste due esigenze è ora la sfida principale. Un confronto tra Regione e Governo potrebbe essere l’unica strada per evitare nuovi conflitti istituzionali e garantire un quadro normativo chiaro, capace di conciliare lo sviluppo delle energie rinnovabili con la tutela del territorio. Se il dialogo non verrà avviato in tempi rapidi, il rischio è quello di un periodo di incertezza prolungata, con ripercussioni sul futuro energetico della Sardegna e sugli investimenti nel settore.
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