
Nel 1840 La Marmora nel suo Voyage en Sardaigne scriveva di un pozzo presso la chiesa di Santa Cristina, non lontano da Paulilatino, in parte ingombro e pieno d’acqua. Nel 1846 l’Angius nel Dizionario Canalis accennò presso la chiesa di Santa Cristina di una costruzione singolare in forma d’imbuto rovesciato dal cui buco si scende sopra una scala conica, formata da pietre ben lavorate, come lo è pure il muro che cinge intorno la scala.
Nel 1857 il canonico Spano, attraverso un rilievo grafico realizzato da Vincenzo Crispi, descrive un’opera ciclopica, di pietra nera vulcanica tirata dalla cava in vicinanza, realizzata senza cemento, al par dei nuraghi. Lo identifica come carcere e aggiunge che un uomo collocato giù non potrebbe in alcun modo uscirne, perché i massi gli vengono tutti sulla testa collocati a scaglia e a perpendicolo.
Nel 1904, A. Mayr, suggestionato dalle analogie con le tholoi micenee, lo interpreta come una tomba a cupola. Nella foto del 1899 del padre domenicano Peter Paul Mackey, si nota il pozzo avvolto dagli arbusti. Sarà il Taramelli a chiarire la funzione di questi pozzi che si andavano scoprendo in tutta l’isola.
Gli scavi del 1909 nel pozzo di Serri lo convinsero che si trattava di un edificio destinato al culto di divinità legate alle acque, e lo assimilò a quello di Santa Cristina. L’aspetto attuale lo dobbiamo agli interventi di scavo e restauro del 1953, a cura di Enrico Atzeni. Il monumento fu edificato intorno al 1100 a.C. con pietre basaltiche finemente lavorate. E’ orientato da N-NO a S-SE e si compone di tre parti accuratamente scalpellate nella faccia a vista: atrio, vano scale e camera ipogeica coperta a cupola nuragica con oculo terminale.
L’elegante scala di 24 gradini, a sezione trapezoidale, conduce alla camera ipogeica, alta 7 metri e larga 2.5 metri, e all’acqua. Il soffitto della scala presenta 12 pietre perfettamente lavorate che formano una sorta di scala rovesciata. Il pavimento della camera è scavato nella roccia e ha la forma di un catino che accoglie l’acqua proveniente da una falda perenne. Per rispondere alla domanda iniziale, sulla sua originalità, è sufficiente guardare la foto dell’archeologo scozzese Mackenzie che, oltre a disegnarne la struttura, evidenziò che la straordinaria bellezza architettonica era raffinata, elegante e mirabile.
Il pozzo sacro più famoso della Sardegna è stato restaurato solo nella decina di conci che oggi si vedono all’imbocco della scalinata, con buona pace di chi afferma che fu oggetto di un pesante restauro che ne ha modificato in buona parte la struttura, tutte sciocchezze da far tacere immediatamente.
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