Sardegna maglia nera per reati ambientali: è la regione con più denunce in Italia

Discarica abusiva

La Sardegna è la regione italiana con il maggior numero di persone denunciate per reati ambientali tra il 2015 e il 2024. A segnalarlo è il nuovo rapporto “Ecomafia”, redatto da Legambiente e Libera e presentato a Roma in occasione del decimo anniversario della Legge 68/2015, che ha introdotto nel codice penale italiano i delitti contro l’ambiente. I dati indicano 1.627 soggetti segnalati all’autorità giudiziaria, un numero che colloca l’isola al primo posto a livello nazionale. Per quanto riguarda i reati accertati, la Sardegna si posiziona al secondo posto dopo la Campania, con 726 illeciti documentati. Il quadro che emerge è quello di un territorio sotto pressione crescente, dove a una ricchezza paesaggistica e ambientale straordinaria si affianca una diffusione sistemica di condotte illecite. Le principali violazioni riguardano lo smaltimento illecito di rifiuti, gli incendi dolosi, l’abusivismo edilizio in aree protette e l’inquinamento legato ad attività industriali o agricole prive di controllo adeguato.

Un primato allarmante in tutto il territorio

Le zone più colpite dai reati ambientali sono il Campidano, il Sulcis-Iglesiente e la provincia di Oristano, dove si registra il frequente abbandono di materiali tossici, come fusti e bidoni non tracciati. Anche la Gallura e l’area metropolitana di Cagliari sono particolarmente esposte. Nel primo caso, il fenomeno è legato all’espansione turistica e immobiliare; nel secondo, alle attività portuali e industriali. Il dossier segnala anche che la Sardegna è la regione con il maggior numero di reati ambientali a carico di enti e aziende: ben 179 violazioni accertate secondo il decreto legislativo 231/2001. Un dato che evidenzia come il problema non riguardi solo singoli cittadini o piccoli operatori, ma coinvolga anche soggetti giuridici strutturati. Secondo Legambiente, sebbene il numero elevato di denunce possa riflettere controlli più efficaci, la distribuzione e la gravità degli illeciti mostrano un problema più profondo e persistente.

Le radici storiche: industria, miniere e militari

La crisi ambientale sarda non nasce oggi. La sua origine risale agli anni Sessanta e Settanta, quando lo Stato italiano promosse nell’isola una rapida industrializzazione attraverso poli chimici, energetici e metallurgici in zone come Portovesme, Sarroch e Ottana. Questi impianti, in gran parte oggi dismessi, hanno lasciato sul territorio un’eredità di contaminazioni e aree da bonificare. In parallelo, il Sulcis-Iglesiente, un tempo tra i principali distretti minerari europei, oggi è un territorio segnato da discariche minerarie, suoli inquinati e villaggi operai abbandonati. A tutto ciò si aggiunge il peso delle servitù militari: la Sardegna ospita circa il 60% delle aree militari italiane, tra cui i poligoni di Quirra, Capo Teulada e Capo Frasca. In questi luoghi, per anni si sono svolte esercitazioni con materiali esplosivi e radioattivi, spesso senza trasparenza o controlli ambientali. In alcune aree sono stati documentati tassi anomali di tumori e malformazioni, dando origine a inchieste e movimenti civici.

Pressione turistica e abusivismo edilizio

Dagli anni Ottanta in poi, la Sardegna ha affrontato una seconda ondata di pressione territoriale legata allo sviluppo del turismo. Le coste, in particolare quelle della Gallura e del sud dell’isola, sono state interessate da un’espansione edilizia non sempre regolata. In molti casi, l’abusivismo edilizio ha coinvolto aree vincolate o ad alto valore paesaggistico, con trasformazioni irreversibili del territorio. A incidere sono state la debolezza della pianificazione urbanistica, controlli lacunosi, e la tendenza ad accettare il turismo come giustificazione per il consumo di suolo. Il risultato è un paesaggio spesso compromesso, dove lo sviluppo economico ha prevalso sulla sostenibilità. Il rapporto Ecomafia denuncia che la crescita degli ecoreati in queste zone non è casuale, ma legata a un modello di sviluppo sbilanciato, che ha lasciato spazio a pratiche illecite o borderline. Il turismo, invece di essere un motore di tutela, si è trasformato in un fattore di rischio ambientale.

Cultura ambientale debole e strutture carenti

A rendere la Sardegna vulnerabile non sono solo le scelte passate, ma anche la debolezza delle strutture di controllo e l’assenza di una cultura della legalità ambientale diffusa. Le forze dell’ordine e le procure ambientali operano spesso con risorse limitate, mentre la percezione sociale della gravità dei reati ambientali resta bassa. In molte comunità, l’abbandono di rifiuti o gli abusi edilizi sono ancora tollerati, o vissuti come comportamenti “minori”. Anche l’educazione ambientale nelle scuole è arrivata tardi, e i media locali raramente dedicano attenzione sistematica al tema. Secondo Legambiente e Libera, per invertire la rotta è necessario agire su più fronti: rafforzare gli strumenti investigativi, migliorare la tracciabilità dei rifiuti, avviare campagne di bonifica e, soprattutto, promuovere una cultura civica del rispetto ambientale. Solo così sarà possibile evitare che la Sardegna consolidi un primato che, più che statistico, è il sintomo di una crisi strutturale.

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