
“Salvatore Pisu non ha certo bisogno di presentazioni. Credo che non ci sia angolo della Sardegna dove non fosse conosciuto, dove non avesse lasciato un segno, un figlioccio, un compare”. Così lo ricorda Giuseppe Castello, medico e amico, nel raccontare la storia di un uomo che ha fatto della propria vita un gesto radicale di accoglienza e servizio.
Medico d’urgenza, docente universitario, filosofo, uomo di pensiero e d’azione, Salvatore Pisu era una di quelle persone che non potevano passare inosservate. La sua presenza, intensa e generosa, era riconoscibile ovunque: nei corridoi degli ospedali, tra le aule universitarie, nei centri più piccoli della Sardegna, nei gesti quotidiani fatti senza rumore ma con un’umanità fuori dal comune.
Quarant’anni fa, davanti all’ospedale civile di Cagliari, uno studente di medicina incrocia per caso Salvatore Pisu. È il suo primo incontro. La collega che lo accompagna glielo presenta, e lui – senza esitazione – lo guarda e dice: “Sei dei nostri!” Una frase diretta, quasi spiazzante. Ma per Giuseppe Castello, quel momento è l’inizio di una amicizia eccezionale. “Da allora divenni amico suo e dei suoi amici, un gruppo di universitari di Comunione e Liberazione, con cui iniziai a condividere la vita, gli studi, il tempo libero e le iniziative.”.
“Era questo, Salvatore: uno che sapeva riconoscere l’altro a pelle, che sapeva includerti prima ancora di conoscerti, con naturalezza e forza. Non selezionava, accoglieva. E la sua accoglienza era operosa, concreta, totale.”
Chi l’ha frequentato lo racconta come un motore instancabile, un uomo che viveva di iniziative, relazioni, viaggi, incontri, ospitalità. “Non esistevano sabati o domeniche – scrive Castello –. Ti telefonava all’improvviso e nel giro di mezz’ora eri con lui, in macchina, magari per attraversare la Sardegna per una riunione o un gesto di carità”.
Stare con lui significava vivere dentro una festa, anche quando non sembrava il momento. Significava condividere, costruire, ascoltare. “Ci sono stati mesi in cui era senza patente – continua Castello – e allora ci organizzavamo per accompagnarlo. Nessuno si tirava indietro: sapevamo che con lui, la vita diventava più vera”.
Salvatore non distingueva mai troppo tra i ruoli: l’amico, il collega, il medico, il passante. Tutti erano parte dello stesso orizzonte umano. Non c’era distanza che non si potesse colmare, né tempo che fosse sprecato se serviva per un gesto utile, una presenza, una parola.
C’è un episodio che, più di altri, restituisce la sua umanità. È ancora Castello a raccontarlo. “Ero in pronto soccorso dopo un piccolo incidente. A un certo punto arriva un uomo in difficoltà, mal vestito, e comincia a gridare: C’è il dottor Pisu? Dov’è il dottor Pisu?!”. “Salvatore quel giorno non era in turno. Ma scoprii poi che alcune persone senza fissa dimora andavano lì apposta per lui. Sapevano che era generoso anche nel portafoglio. E se non aveva nulla, chiedeva a chi era con lui. Senza imbarazzo, con naturalezza. Era il suo modo di stare al mondo”.
“Non c’erano ruoli o differenze sociali che contassero davanti al bisogno. Ogni persona era degna di essere incontrata nella sua interezza, senza filtri e senza sconti.”
Oltre all’impegno quotidiano, Salvatore era un uomo di cultura profonda. Tra i primi medici del 118 in Sardegna, fu anche tra i promotori dell’elisoccorso. Laureato in medicina e filosofia, ha insegnato bioetica alla Facoltà Teologica di Cagliari e fondato il Centro di Bioetica del Mediterraneo presso il CRS4.
“Non parlava mai per sentirsi dire bravo. Parlava per capire, per condividere, per cercare insieme. Aveva una passione forte per il confronto culturale, per i temi civili, per le questioni che toccano l’umano. Era stimato da molti, anche in ambito politico, proprio perché non cercava protagonismo ma verità. Se ti sosteneva, era perché riconosceva che anche tu stavi provando a costruire qualcosa di buono.”
“Il Paradiso – scrive ancora Castello – è già un luogo perfetto. Ma da quando c’è lui, si è accesa una nuova luce”.
E quella frase, detta una mattina davanti a un ospedale, oggi suona più vera che mai. Non solo per chi l’ha sentita allora, ma per chiunque abbia avuto la fortuna di incrociarlo, anche solo una volta: “Sei dei nostri.”
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