
Il professor Giuseppe Castello, medico e docente di bioetica alla pontificia facoltà teologica della Sardegna, studia da anni le implicazioni morali delle tecnologie riproduttive. In questo campo il suo lavoro ruota attorno a una domanda sempre più centrale: come scienza e diritto stanno ridefinendo il concetto di maternità? Fecondazione assistita, gestazione per altri, genetica predittiva—ogni nuova frontiera solleva dilemmi etici che mettono alla prova leggi, credenze e coscienza collettiva. Per capire cosa sta cambiando e quali domande guideranno il futuro della riproduzione umana, abbiamo parlato con lui.
Professore, qual è il legame tra bioetica e gestazione per altri?
Castello: «La bioetica si occupa di valutare le condizioni dell’agire morale in campo biomedico, in questo caso il valore morale delle azioni che riguardano la vita umana e il suo inizio. La gestazione per altri – o gravidanza surrogata – tocca direttamente il rapporto tra madre e figlio, oltre che le tecnologie riproduttive. Col singolare risultato che per rispondere all’esigenza di genitorialità sempre più la disperde fra coloro che donano i gameti, spermatozoi e ovociti, colei che porta avanti la gravidanza e partorisce, e coloro che commissionano il bambino. Che conseguenze ha questa pratica sulla società? È inevitabile quindi una riflessione etica: chi è la madre? chi è il figlio? Si parla spesso di “diritto al figlio”, ma mai del diritto ad avere una genitorialità univoca certa e non ambigua o nascosta.»
Nel nostro ordinamento la madre è sempre certa: è chi partorisce. Perché è così importante questo principio?
Castello: «Perché è alla base di un diritto oggettivo filtrato da millenni di esperienza umana incardinata nelle leggi che hanno governato fino ad ora il concetto naturale di filiazione. Il legame madre-figlio è sempre stato visto come un dato di fatto, non un concetto negoziabile. In altre culture si sono sviluppate visioni differenti del ruolo genitoriale, basati su diversi assetti di potere, ma la nostra tradizione giuridica che ha posto al centro la persona e la libertà, ha sempre cercato di garantire certezza in questo ambito.
La nostra stessa legge prevede che, se una madre non può o non vuole occuparsi del bambino, si ricorra all’adozione, che è un istituto con regole ben precise. In questo modo, il bambino è al centro e non è mai lasciato in stato di abbandono.»
Oggi molte coppie italiane vanno all’estero per avere un figlio attraverso la gestazione per altri. Quali sono i rischi di questa “fuga”?
Castello: «Innanzitutto, il contesto legale: la recente legge italiana ha dichiarato la gestazione per altri un reato universale, quindi potrebbe esserci un inasprimento delle conseguenze per chi la pratica all’estero.
Poi c’è il problema etico: il commercio di gravidanze è generalmente visto come inaccettabile, ma anche la cosiddetta “gestazione altruistica” solleva interrogativi. Quando una donna porta avanti una gravidanza per la sorella, per esempio, è un atto di generosità o c’è comunque una forma di pressione sociale? Un gesto poi è realmente solidale e altruistico quando lo è per tutti, ma in un contesto di produzione tecnologica invece si chiede al bambino il sacrificio di accontentarsi di essere nato, privato del diritto ad avere “una” madre»
Quanto sappiamo sulle conseguenze psicologiche ed emotive per i bambini nati da gestazione per altri?
Castello: «Dobbiamo distinguere i piani. Non possiamo ridurre tutto alla tecnica, perché il bambino è più di un risultato biologico. C’è la sua personalità, la sua libertà, la sua crescita. Esistono storie di persone nate in condizioni difficili che hanno trovato una loro strada, ma anche casi in cui l’origine ha pesato profondamente sul loro sviluppo.
C’è un elemento che non possiamo ignorare: la gravidanza è un’esperienza di relazione, di partecipazione. Una donna che porta avanti una gravidanza nutre e protegge il bambino per nove mesi, e il bambino sviluppa una sensibilità e una connessione con lei. È un dato di fatto, il legame biologico influenza quello psichico e relazionale, e viceversa.
Non possiamo prevedere con certezza quali saranno le conseguenze psicologiche, perché la gestazione per altri è un fenomeno relativamente recente, ma dobbiamo riflettere su cosa significhi spezzare quel legame alla nascita. Hans Jonas, il filosofo morale al cui grande insegnamento moltissimo deve la sensibilità ecologica moderna, invocava il principio di precauzione: non qualsiasi uso della tecnologica è lecito, soprattutto quando potrebbe incidere su quella sostanza della vita che è il futuro ancora da scrivere nel percorso di libertà di ogni uomo.»
Guardando al futuro: la denatalità e l’aumento dell’età media delle coppie portano a un maggior ricorso alle tecnologie riproduttive. Come si evolverà la genitorialità nei prossimi decenni?
Castello: «La natura non lascia vuoti. Dove c’è un vuoto, la società trova un modo per riempirlo. Ma dobbiamo chiederci: vogliamo una società in cui la genitorialità diventa un processo sempre più tecnologico e programmato? Il rischio è che si arrivi a una produzione di esseri umani regolata da criteri tecnici ed economici. Non dobbiamo dimenticare che la vita non può essere ridotta a un calcolo. Ormai anche la scienza ha ormai universalmente riconosciuto la vita embrionale come vita di un nuovo essere umano a tutti gli effetti»
Viviamo in un sistema capitalistico che trasforma tutto in mercato, inclusi i rapporti umani. Anche la genitorialità sta diventando un “bene di consumo”?
Castello: «Il capitalismo si fonda sul calcolo: tutto deve essere pianificato, ottimizzato, reso disponibile su richiesta. Questo si riflette anche sulla vita umana. Oggi si vuole poter scegliere tutto: quando avere un figlio, in che condizioni, con quali caratteristiche. Giustissima la ricerca per contrastare l’infertilità, così come quella che tenta di intervenire sulle patologie prenatali, a patto che le procedure mediche non mettono a rischio la salute e la vita del nascituro e della madre. Ma un figlio non è un prodotto da progettare. È piuttosto il venire al mondo di un nuovo essere libero, e dunque è la libertà dell’accadere il miglior contesto in cui è concepito. Del resto anche il rapporto sessuale è tanto più umanizzato quanto più è libero, nessuno mi può imporre come o con chi deve avvenire. Dunque mi sembrano più che legittime le perplessità sulla riproduzione in provetta e i dubbi di chi ritiene che possano non costituire un contesto adatto a rendere giustizia all’esigenza di libertà patrimonio di ogni uomo. C’è un’idea, sempre più diffusa, che tutto sia manipolabile e controllabile. Che si possa forzare la natura pur di avere un figlio anche a 60 anni, che si possa annullare la naturale saggezza del limite biologico con la scienza. Ma siamo sicuri che questo non ci porti a perdere qualcosa di essenziale?»
Alla luce di queste sfide, è ottimista sul futuro?
Castello: «Sì, ma non ingenuamente. Mi rendo conto che viviamo in un’epoca in cui la tecnologia può condizionare profondamente la libertà umana, anche in modi sottili. Ma la libertà ha radici profonde, più forti di qualsiasi calcolo o imposizione sociale. La storia ha sempre visto momenti di trasformazione, e anche oggi ci troviamo davanti a cambiamenti enormi. Ma finché esisterà la possibilità di riflettere, discutere e fare scelte consapevoli e libere per tutti, ci sarà sempre una speranza. Certo, sul futuro sappiamo poco, ma paradossalmente l’uomo di oggi può fondare la sua speranza guardando al passato, e precisamente a quell’avvenimento di Gesù Cristo che ha seminato nella storia la possibilità di affrontarla con fiducia e coraggio, tanto che se ne può fare esperienza anche oggi, perché ciascun essere umano su questa terra possa essere libero e inattaccabile da qualsiasi potere, da quello patriarcale che poteva decidere la vita e la morte dei sottoposti, a quello dell’ideologia che ha creato i campi di sterminio, per arrivare oggi a quello della tecnologia con cui si rischia di ridurre l’uomo a oggetto di produzione.»
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