DICE MONTALBANO. Risorse e attività nella Sardegna preistorica

L’uomo dell’età del Rame

L’antica Sardegna era caratterizzata da abbondanza di risorse e clima mite, fondamentali per la qualità di vita sull’isola. Le fonti letterarie dedicate alla divinità protosarda Aristeo narrano che, al tempo dei nuraghi, la Sardegna era ricca di olio, latte e miele, oltre a una vasta gamma di alberi da frutta. Per quanto riguarda la viticoltura, ci sono attestazioni di vinificazione già dal Bronzo Recente, e circolavano brocchette per il consumo della bevanda inebrianti.
I Sardi potevano contare anche su un vasto patrimonio di animali da allevamento e su una ricca fauna venatoria, che garantivano approvvigionamenti costanti di cibo. Questa abbondanza alimentare permetteva di avere scorte per i mesi invernali, grazie alla conservazione con sale, lardo e grasso. Dal mare, dagli stagni e dai fiumi arrivavano pesci e molluschi, come testimoniano i ritrovamenti archeologici e le prime analisi dei resti ittici. Nei villaggi sono stati trovati pesi trapezoidali e fuseruole, che documentano l’attività tessile praticata con grandi telai fin dal Neolitico finale.
Dagli animali si ricavavano anche pelli, cuoio e prodotti derivati come coperte, sandali, lacci, fruste e legacci. Il lino sardo era pregiato, apprezzato per il suo candore e la sua lucentezza. Il mantello di lana di pecora, chiamato mastruca, era una tradizione delle popolazioni dei Balari e degli Iolei delle zone interne; questa veste, priva di maniche, è ancora oggi indossata dai pastori sardi.

Strumenti di lavoro e contenitori

Nelle sculture in bronzo del I Ferro si vede che anche i capitribù indossavano capi d’abbigliamento, spesso appoggiati sulla spalla come grandi mantelli, senza essere infilati. La bronzistica figurata mostra molte varianti di copricapi, sia civili che militari, oltre a gonnellini e tuniche maschili e vesti e gonne femminili. Si conoscono anche manufatti come contenitori per derrate alimentari e cestini intrecciati con elementi vegetali, così come rivestimenti murali di stuoie realizzate con rami flessibili.
Numerosi attrezzi in bronzo rinvenuti nei contesti nuragici, come scalpelli di varie punte, diverse tipologie di accette e il trapano ad archetto, testimoniano un artigianato del legno molto attivo fin dal Bronzo Medio. Le grandi foreste e i boschi delle zone interne dell’isola erano sufficienti a soddisfare il mercato interno, anche se alcuni prodotti di alto pregio artistico venivano sicuramente importati dall’estero.
Con l’aumento della popolazione, la gestione del palazzo nuragico, probabilmente sede del capo e di chi rivestiva ruoli religiosi e civili, fu probabilmente affidata a un gruppo ristretto di persone. Tuttavia, in caso di conflitti, tutta la comunità collaborava. I guerrieri avevano un ruolo fondamentale per la sopravvivenza delle comunità, e i vari gruppi avevano certamente rapporti di parentela tra loro all’interno del sistema tribale. Tuttavia, ogni comunità godeva di una certa autonomia, che doveva essere gestita nei rapporti con le comunità vicine.

Dalla pietra ai primi metalli

L’introduzione dei primi metalli portò l’uomo a ridurre progressivamente l’uso delle pietre. Durante il passaggio dal Neolitico al Bronzo, le armi e gli utensili di rame avevano un ruolo subordinato rispetto a quelli in pietra. In Sardegna, le prime tracce di metallurgia risalgono alla cultura di Ozieri, ma lo sviluppo tecnologico si intensificò durante le culture di Abealzu, Filigosa e Monte Claro. Si producevano pugnali di rame colati in forme e induriti con colpi di martello. Nei corredi tombali della cultura del vaso campaniforme sono stati trovati oggetti in lega di rame e arsenico. L’aggiunta di stagno al rame per ottenere il bronzo, si verificò in Sardegna solo alla fine della cultura Bonnannaro, intorno al XVII a.C. Per questo periodo sono state trovate anche spade triangolari in rame arsenicato, come quelle rinvenute in una tomba di Decimoputzu.
La prova più antica di lavorazione locale di minerali di piombo è rappresentata da una ciotola in stile Monte Claro trovata presso Iglesias, riparata con graffe di piombo provenienti dai giacimenti di galena nei dintorni. La più grande miniera di rame dell’isola, Funtana Raminosa, si trova nella valle tra il Sarcidano e la Barbagia di Seulo. Sul vicino altopiano di Laconi sono state rinvenute le prime statue-menhir della Sardegna, raffiguranti pugnali di metallo, tra cui un doppio pugnale a lame triangolari e impugnatura centrale, e un tridente che simboleggia una figura umana capovolta, probabilmente un morto.

Questi menhir sono stati trovati a meno di 8 km dai giacimenti di calcopirite, galena e blenda di Funtana Raminosa, nei monti del Sarcidano, lungo il versante occidentale del massiccio delle Barbagie di Belvì e Seulo. Appartengono alla cultura di Ozieri anche un pugnale, alcune verghe di rame trovate in una capanna di Cuccuru Arrius di Cabras, e alcuni anelli d’argento rinvenuti nella necropoli di Pranu Muttedu di Goni. L’inizio della metallurgia in Sardegna si verificò contemporaneamente anche in Corsica e Sicilia, determinando anche in queste isole un importante cambiamento negli equilibri sociali e culturali, segnando il passaggio dal Neolitico all’Eneolitico. La diffusione del metallo, in particolare, stimolò un crescente interesse verso lo sfruttamento e la circolazione dell’ossidiana, una risorsa preziosa e molto richiesta all’epoca.
Verso la metà del III millennio a.C., si sviluppò la cultura di Monte Claro, articolata in diverse facies locali: meridionale, oristanese, nuorese e settentrionale. Questa cultura possedeva un patrimonio culturale ricco e complesso, con insediamenti in grotta e all’aperto, e con varie tipologie di sepolture, tra cui tombe a fossa, a forno, a cista e megalitiche, tutte con inumazione del defunto.
Gli strumenti in selce e ossidiana sono pochi, ma la fioritura di Monte Claro è spiegata da un’economia agricola in ripresa, accompagnata da un aumento delle attività pastorali e dall’inizio dello sfruttamento delle risorse minerarie.

prova
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