Il cammello di Ovodda, l’influencer in cerca di click e la verità sacrificata

Cammello Ovodda

Un influencer ha deciso che c’era uno scandalo. Non ha controllato, non ha chiesto, non ha contestualizzato. Ha visto una foto – un cammello, delle pelli di pecora, una festa di paese – e ha premuto “pubblica”. Il resto lo ha fatto l’algoritmo. Nel giro di poche ore, il carnevale di Ovodda è diventato il nuovo caso nazionale, un’orgia di indignazione prefabbricata in cui un cammello innocente è stato trasformato nel simbolo di una presunta barbarie.
Nessuno ha chiesto chi fosse davvero quel cammello. Nessuno si è fermato a capire perché fosse lì. Nessuno ha pensato che forse, prima di lanciare accuse e invocare sanzioni, valesse la pena informarsi. Troppo complicato. Più facile gridare al maltrattamento, scatenare il linciaggio social, raccogliere like e condivisioni da chi è sempre pronto a indignarsi, purché non gli si chieda di pensare.

L’algoritmo dell’indignazione

L’immagine arriva sugli schermi di Enrico Rizzi, animalista con un vasto seguito online e una predisposizione piuttosto accentuata per l’attivismo in tempo reale. Senza prendersi la briga di chiedere, verificare, contestualizzare, Rizzi fa quello che ogni algoritmo si aspetta da lui: pubblica. E quando pubblica, il post esplode. Ovodda diventa, nel giro di poche ore, il nuovo epicentro di una polemica infuocata, un bersaglio facile per il meccanismo ormai collaudato dell’indignazione istantanea.

Gente che fino a cinque minuti prima ignorava l’esistenza stessa di Ovodda è ora fermamente convinta che il paese sia un covo di sadici intenti a seviziare animali per divertimento. Si moltiplicano i commenti scandalizzati, le richieste di intervento, le condanne morali lanciate senza troppe sfumature. Qualcuno invoca la giustizia, altri la chiusura immediata dell’evento, altri ancora minacciano boicottaggi, denunce, ritorsioni. Il cammello, dal canto suo, non sembra particolarmente interessato alla bufera mediatica che si è scatenata intorno alla sua esistenza.

La verità è noiosa

Nel frattempo, la verità prova timidamente a farsi strada, ma il problema della verità è che è noiosa. La verità, in questo caso, è che le pelli di pecora sono semplicemente il sottoprodotto di una macellazione perfettamente legale e certificata. Il cammello, Rodolfo, è un animale regolarmente detenuto da un allevatore locale, Michele Ladu, che lo ha acquistato e salvato da una vita in cattività. Nessuna tortura, nessuna crudeltà, nessun sacrificio rituale. Solo una comunità che celebra il proprio carnevale come ha sempre fatto.

Ma a quel punto il danno è fatto. Non importa più che il cammello sia trattato bene, che la festa non abbia nulla a che vedere con la violenza sugli animali, che tutta la polemica sia fondata su un fraintendimento. Una volta che una storia è stata lanciata nel flusso di coscienza collettivo dei social, nessuno ha più voglia di fermarsi a riflettere. Le narrazioni si impongono non perché siano vere, ma perché funzionano. E questa, con la sua perfetta combinazione di indignazione, esotismo e crudeltà presunta, funziona alla grande.

Quando la politica annusa il sangue

La Sardegna intera si ritrova improvvisamente sotto accusa, con perfino il parlamentare Francesco Emilio Borrelli che chiede un incontro urgente con la Presidente della Regione, Alessandra Todde. E qui la vicenda raggiunge il suo momento di massima surrealtà: mentre migliaia di giovani emigrano per mancanza di lavoro, mentre gli ospedali soffrono una crisi senza precedenti, mentre i pastori sardi combattono contro il crollo dei prezzi e l’abbandono delle campagne, l’urgenza del giorno diventa un cammello che partecipa a una festa.

Michele Ladu, l’allevatore, prova a spiegare. Registra un video in cui racconta la storia di Rodolfo, mostra i pascoli dove l’animale vive libero, cerca di riportare la discussione su un piano di realtà. Ma il problema è che la realtà, ancora una volta, è meno efficace della narrazione già in circolo. Le smentite non ottengono mai lo stesso numero di condivisioni delle accuse, la verità non genera abbastanza hype.

La trasformazione in meme

Intanto, mentre la polemica si infiamma, qualcuno si diverte a creare un fotomontaggio che trasforma Rizzi in “Don Conte”, la figura simbolica del carnevale di Ovodda. Il ciclo mediatico è ormai completo: la questione non è più nemmeno il cammello, la crudeltà sugli animali o la tradizione. La discussione è degenerata in tifo da stadio, in fazioni contrapposte che si gridano addosso, ognuna convinta della propria superiorità morale.

Il cammello, nel frattempo, continua la sua vita. Rodolfo non sa di essere stato trasformato in un simbolo, non sa di essere diventato il pretesto per l’ennesimo corto circuito tra realtà e percezione, tra tradizione e ipersensibilità digitale. Forse, in fondo, è l’unico ad aver capito davvero la lezione: in un mondo governato dagli algoritmi, l’unico modo per sopravvivere è fregarsene del caos che ci circonda e continuare a camminare.

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