
C’è un vento in Gallura che non porta solo il profumo della macchia mediterranea.
È un vento carico di storie, di sussurri, di ombre che non trovano pace. Qui, nella Sardegna di metà Ottocento, la giustizia non conosce parole ma solo il fucile. Non ci sono leggi dello Stato a governare questa terra selvaggia e fiera. Ci sono solo l’onore e la vendetta che si avvalgono di un codice non scritto. Le faide familiari si trasformano spesso in guerre intrise di sangue. In questo scenario, più precisamente ad Aggius, nasce una leggenda: Bastiano Tansu. Il Muto di Gallura. Un uomo che non può parlare, ma che urla attraverso il piombo. Questa è la sua storia.
L’eco potente di una fucilata scrive il destino di Bastiano Tansu.
Un colpo solo. Secco. Preciso. Michele, il suo amato fratello, giace senza vita. L’unico che lo ha sempre difeso, protetto e fatto sentire amato. Michele è il suo sostegno in un mondo che lo ha sempre emarginato. Ora Bastiano si sente sprofondare in un abisso di solitudine. Michele è morto.
Tutto inizia con un amore infranto. Nel 1849 Pietro Vasa e Mariangiola Mamìa si sono lasciati. Con loro svanisce la speranza di una tregua tra le famiglie.
Qualcuno tenta di uccidere Pietro Vasa, un colpo esploso nell’ombra, un attentato fallito. La vendetta è inevitabile.
Questa viene affidata a Michele Tansu, il fratello di Bastiano. Michele alza il fucile e spara.
Il colpo raggiunge Antonio, il padre di Mariangiola Mamia: non abbastanza per ucciderlo, ma abbastanza da condannare Michele a morte. La perdita di Michele getta Bastiano in un profondo dolore e presto lo trasformerà in un uomo con una inestinguibile sete di vendetta.
E’ il 15 agosto del 1850.
La strada che da Viddalba porta ad Aggius è deserta sotto il sole impietoso.
Antonio Mamia deve percorrerla quel giorno. Ma cambia idea all’ultimo momento, forse avvertito da un presentimento o da un sussurro amico: ad aspettarlo c’è Bastiano. A passare di lì, invece, è suo figlio Michele, appena quindicenne. Non tornerà mai più a casa. Un proiettile lo prende in pieno petto. Si accascia sulle sue ginocchia, senza neppure il tempo di capire chi lo ha condannato a morte. Nemmeno un gemito. I poveri genitori gridano al dolore, l’intero paese si stringe intorno a loro.
Il popolo gallurese ha già emesso la sua sentenza.
È stato Bastiano Tansu.
E se anche non fosse stato lui, poco importa. Il suo nome ormai è inciso nel sangue della faida.
La morte di un bambino è un oltraggio, persino nella Sardegna più selvaggia. E come ogni oltraggio, chiama vendetta.
Bastiano Tansu non è nato assassino.
Ad Aggius, tra il monte Limbara e il corso inferiore del fiume Coghinas, viene al mondo il 29 ottobre del 1827. Suo padre è Andrea Addis Tanxiu, sua madre Agostina Razzu, pastori come tanti in questa terra dove la vita si misura in greggi e fatica. Ma Bastiano è diverso. Lo è dal primo istante.
Nasce sordo e muto.
I primi anni di vita sono un’ombra senza luce. Bastiano non capisce perché gli altri bambini lo guardino con diffidenza. “Avvaldati da cal’è natu signalatu” dice di lui la gente. Non capisce le risate di scherno, ma le vede. Non sente gli insulti, ma li legge nei volti. E quando crescono, le parole lasciano spazio ai colpi. Bastiano viene picchiato, umiliato, deriso. A quindici anni perde la madre e solo venti giorni dopo anche il padre. La restante parte della famiglia, dopo la morte dei genitori, non fa nulla per proteggerlo. Lo trattano come un peso, uno scarto.
Ma lui non ha bisogno di parlare per capire il mondo.
Impara a leggere i gesti, gli sguardi. Impara a comunicare senza parole. E più viene respinto, più i suoi occhi neri diventano affilati. Diventa un’ombra silenziosa che tutto osserva e tutto comprende.
Bastiano sviluppa un’intelligenza acuta, sottile, pericolosa. La sua vista è straordinaria, è agile come un capriolo. E’ biondo, di media statura e ha due occhi penetranti. Il suo naso è segnato fin dalla nascita da una cicatrice che lo rende unico. Il suo vero talento si rivela nel fucile, dal quale non si separa mai. Impara a sparare con una precisione letale. Si dice che possa colpire un bersaglio a centinaia di metri, anche nella notte più buia.
Dal 1849 al 1857, più di dieci anni di omicidi, tradimenti e vendette. E’ la faida che vede coinvolte quattro famiglie: i Tansu, i Pileri, i Vasa e i Mamia. E’ un vortice che inghiotte tutto. Bastiano non ne è l’origine, ma ne diventa il simbolo.
Diventa il vendicatore inesorabile nascosto tra le montagne di Aggius, dentro una roccia chiamata il Gran Tamburo. Il ragazzo che un tempo veniva deriso ora è un’arma perfetta. A capirlo è lo zio di Bastiano che lo arruola come sicario. Il Muto di Gallura uccide. Dal 1848 al 1856,sono diciassette gli omicidi. Alcuni dicono settanta. Ma nessuno può davvero saperlo. Bastiano non lascia superstiti. Nessuno può interrogarlo. Nessuno può strappargli un nome. Il suo silenzio diventa la sua arma più grande. Bastiano colpisce, scompare e si dissolve nella macchia.
Ma anche le belve più feroci, per quanto braccate, non possono restare nascoste per sempre ,devono uscire dalla tana e cercare il necessario per sopravvivere. Cosi anche il muto di Gallura è costretto a lasciare la macchia e a scendere dalle montagne come un ombra sfuggente per muoversi tra le valli e i sentieri. Ed è li che che trova rifugio. Da AntonStefano Pes, nello stazzo dell’Avru. Bastiano viene accolto con amicizia e rispetto. Qui è solo un uomo e per la prima volta qualcuno lo guarda senza paura e senza disprezzo. Con quelle mani d’oro sa farsi voler bene, abituato fin da piccolo a lavorare. Ha un talento innegabile per le incisioni a fuoco sul legno.
Bastiano Tansu non è solo un assassino. Nel suo cuore c’è ancora uno spiraglio di luce.
Si chiama Francesca.
Lei e’ la figlia prediletta di Antonstefano, per tutti è: “Francisca la beddha” la bella Francesca. Sedici anni, slanciata, con occhi che sanno vedere oltre. Quando Francesca esce di casa sa che al suo ritorno ad aspettarla ci sarà Bastiano, affacciato alla finestra, immobile come una statua di granito. Non servono parole tra loro. Bastiano e Francesca riescono a capirsi anche senza parlare. il silenzio di lui non è bastato a nasconderle di essere perdutamente innamorato di lei. Tra loro nasce qualcosa di vero. Una notte si scambiano una promessa muta, una medaglietta della Madonna con il Bambino. Francesca gliela regala come pegno d’amore.
Bastiano parte, portando con se la convinzione che quella medaglietta possa renderlo invulnerabile, crede che possa proteggere il loro amore. Ma la speranza per lui è solo un illusione. Quando Bastiano torna all’Avru mesi dopo, tutto è già finito. Francesca non è più sua, forse non lo è mai stata. Suo padre l’ha promessa in sposa ad un altro uomo: Giovanni Antonio Mannu. Bastiano non dice nulla, non può. Lascia la medaglietta sul davanzale della sua finestra. Un addio silenzioso, come tutta la sua vita. Poi se ne va. Quello che accade dopo è solo vendetta.
Antonstefano Pes viene ucciso. Poi altri cadaveri si aggiungono alla lista. Uno dopo l’altro.
Nessuno può fermare un uomo che ha perso tutto.
1856, la storia del Muto di Gallura arriva alla fine.
Ma la sua morte è un mistero. C’è chi dice che a tradirlo sia stato Giovanni Antonio Mannu, l’uomo che gli ha strappato Francesca. Che abbia mandato i suoi sicari ad ucciderlo ,e come prova della sua morte si racconta avesse chiesto la sua pistola istoriata, il pugnale dal manico d’osso,e quel naso inconfondibile. Altri giurano che Bastiano si sia tolto la vita per il dolore di un amore impossibile. Forse invece è stato il bandito Francesco Antonio Muretti noto come “Macciareddha” ad ucciderlo. Un regolamento di conti tra uomini senza legge. Ciò che è certo è che il suo corpo è stato lasciato alla macchia.
Nessuno lo ha pianto. Nessuno lo ha seppellito. Ma il suo nome non è mai morto.
Un silenzio che parla: Bastiano Tansu. Il Muto di Gallura.
Un uomo senza voce, ma la cui storia ha urlato più forte di chiunque altro.
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