L’arte di Gianluca Petrini: tra Pinocchio, l’essere umano e la società

Gianluca Petrini

Il personaggio di Pinocchio per raccontare la politica, la società e l’essere umano. Il pittore Gianluca Petrini, 55enne di Cagliari, racconta la sua arte, dalla scoperta ai suoi traguardi, mettendo al centro la figura di Pinocchio e la cultura pop.

Come ha scoperto la passione per la pittura?

La passione della pittura è nata con me, in pratica. L’ho sempre avuta. Poi, crescendo, ho cercato di portare avanti questo discorso, di migliorarlo e di dargli anche un peso concettuale. Il mio stile pittorico rappresenta un po’quella che è l’arte pop degli anni 70/80; uso molto Pinocchio, il significante, ma a cui io do un altro significato. Sono un po’ alla ricerca dell’essere umano e forse anche di me stesso: penso che l’essere umano abbia l’arroganza o la presunzione di definirsi umano, con Pinocchio non ho fatto altro che estrapolarlo dal suo contesto storico, che andava bene per gli anni della storia di Collodi, e inserirlo ai giorni nostri.

Se dovesse trovare un momento in cui questa passione si è trasformata nel suo lavoro, quale sarebbe?

Ho sempre perseguito questa strada poi ho ottenuto dei risultati importanti. Come sardo già non è facile di per sé muoversi nel panorama nazionale. Ho fatto un progetto artistico che ha coinvolto bambini e artisti professionisti insieme, e che è andato a finire alla Fondazione nazionale Carlo Collodi in Toscana. In questo progetto collaborativo erano coinvolti anche due artisti aquilani giovanissimi, considerati dalla critica gli artisti più giovani d’Italia, ovvero i fratelli Margiotta. Poi abbiamo studiato il progetto “Pinocchio, il naso più lungo del mondo” e questo ha portato anche a ricevere un riconoscimento da parte della Fondazione Collodi per il centoquarantesimo anno dalla nascita di Pinocchio: 140 premi numerati che danno solo a persone che si sono distinte per quanto riguarda la storia di Pinocchio e dell’arte. Dopodiché ho ottenuto un’esposizione dei miei quadri alla Fondazione Collodi e alla Fondazione Piaggio di Pontedera. Ho avuto i miei riconoscimenti e questo mi ha portato a pensare che la strada fosse quella giusta, anche se le persone che magari sono abituate all’arte classica, molte volte non considerano arte questo linguaggio, non lo riconoscono, ed è difficile farlo capire.

Da cosa trae ispirazione quando deve creare delle nuove opere?

Penso alla vita di tutti i giorni. Pinocchio l’ho fatto andare in guerra come un burattino, perché si combatte per motivi che io non riesco a trovare. Ho rappresentato Pinocchio a Gaza, tra le rovine. A volte mischio Pinocchio con questi personaggi che rappresentano sempre l’essere umano, che deve anche continuare a combattere e cercare un appiglio per potersi definire umano. So che sono dei temi un po’ pesanti, ma cerco sempre di condirlo con i colori, cerco sempre di dire le cose più spiacevoli in maniera diversa. C’è chi magari guarda il quadro in maniera superficiale oppure solo dal lato figurativo e magari non va a vedere o a cercare di capire la sostanza, però ogni quadro ha un significato.

Quali sono le tematiche che include più spesso all’interno delle sue opere?

Nelle mie opere cerco di fare il verso un po’ alla politica, quell’entità diciamo inconcludente. Pinocchio lo faccio viaggiare un po’ tra questi argomenti (la guerra, la politica). Adesso sto preparando una mostra per il 2026, che farò alla Fondazione Collodi, in cui Pinocchio incontra tutti i personaggi dei cartoni animati degli anni ‘70 e ’80. Può sembrare una cosa banale, però è stato un periodo importante della storia, che verrà sicuramente rivalutato dagli studiosi. Spiegherò come tutte queste cose che abbiamo vissuto hanno contribuito, nel bene e nel male, a creare una società che oggi è abbastanza confusionaria e inconcludente. È come se tutta questa politica pop degli anni ‘70 e ‘80 ci avesse un po’ distaccato dalla realtà e ci ha portato a prendere la vita in maniera diversa: questi diversivi, questi svaghi hanno portato, secondo me, la nostra società a un cambiamento radicale.

Quali sono stati i traguardi che ha raggiunto con la sua arte che le hanno portato più soddisfazione?

Io amo tutte le forme d’arte e penso che se un pittore ama l’arte non dipinge per soddisfazione professionale ma perché si sente appagato, perché sente di farlo. L’arte è un potente mezzo che fa bene a chi ci si dedica, per un bisogno di staccarsi dalla realtà e non pensare e dunque già questo è un privilegio per me. Poi anche le soddisfazioni non sono mai mancate: vendite dei quadri, presenze nei musei, la mostra alla fondazione Altopiano della Giara, al Museo della memoria di Setzu. Sono presente nel museo della Fondazione Piaggio e al Museo della fondazione nazionale Collodi. Sicuramente fa piacere avere dei riconoscimenti, però io dipingo a prescindere.

Nelle sue opere i soggetti sono spesso ispirati ai personaggi dell’infanzia, cosa ha portato a questa scelta?

Diciamo che è sempre stato il mio cruccio: io a scuola ho sempre avuto professori che mi hanno sempre contrastato perché avevo la tendenza a discostarmi dall’arte classica e a dedicarmi diciamo a quello che io ho vissuto. Sono nato negli anni ‘70 dunque sono cresciuto con questa cultura pop e dunque per me era quella la via, però mi hanno sempre contrastato e costretto a fare altro. Infatti, per un periodo della mia vita, non facevo altro che ricopiare, finché ho incontrato un grande artista, Antonio Nateri, che mi ha chiesto perché non rappresentassi qualcosa di mio e io ho detto “Perché io ho le giostre in testa e alla gente non piacciono”; lui ha risposto “Disegna le giostre e ricordati i colori, perché quando non riesci a far arrivare bene il tuo messaggio il colore è il veicolo maggiore”. Da quel momento mi sono liberato, perché avevo stima di questo artista e vedere che proprio lui mi aveva dedicato la sua attenzione per me è stato uno sblocco e da allora ho cominciato a esprimermi come ho sempre voluto.

Uno dei protagonisti dei suoi dipinti è sicuramente Pinocchio, qual è il motivo? Cosa rappresenta per lei?

Io penso che Collodi ha fatto Pinocchio senza fili ma che noi ci facciamo manovrare da chi vogliamo, questi fili non esistono siamo noi che decidiamo da chi farci muovere. Pinocchio essendo fatto di un materiale isolante, come il legno, non può essere empatico, non può far entrare dentro di sé il bisogno degli altri e non può esternare niente.
Accomuno Pinocchio all’essere umano, che si muove per salvare la vita a milioni di persone e, al tempo stesso, sopprimerne altrettante con la guerra. Pinocchio è un personaggio insensibile, cinico, che vuole ottenere il risultato subito, senza sacrificio, come la società di oggi, come siamo noi.
Pinocchio è un personaggio inquietante, io da piccolo ne ho avuto paura. I bambini al parco di Pinocchio in Toscana, davanti alle avventure di Pinocchio, ridono ma a denti stretti, non si sentono proprio a loro agio, finché magari un giorno capiranno che la rappresentazione di Pinocchio non è stata fatta certo per allietare i bambini. Io l’ho capito col tempo però per me è sempre stato un personaggio inquietante ecco e mi è venuto naturale associarlo all’uomo. Pinocchio si sveglia e si vede trasfigurato, uscendo da quel corpo inutile che lo teneva bloccato, e sembra quasi che Collodi ci voglia dire che la perfezione non si può tenere in questa vita ma solo passando a condizioni diverse.

A cosa sta lavorando ultimamente e quali saranno i prossimi progetti?

Sarò presente a Samassi, all’antica Casa Pau, con una mostra su Pinocchio. Nel 2026 è in programma una mostra personale alla Fondazione Collodi che sarà associata a Pinocchio e ai personaggi degli anni ‘70 ‘80 dei cartoni animati. Inoltre, a Viterbo c’è l’inaugurazione di un’altra mostra collettiva, sempre con la Fondazione Collodi, prevista per il 5 aprile, in cui tanti artisti si sono cimentati a raccontare un po’ la storia di Pinocchio, nelle varie fasi.

prova
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