
Qualche anno fa, nel sud della Sardegna, ogni mattina un gruccione si posava nei pressi di un sito archeologico. Volava leggero tra le pietre antiche, nel silenzio che precede il caldo. Lì, a lavorare ogni giorno, c’era Lele Pittoni, cantante e autore dei Ratapignata, storica band reggae nata a Cagliari nel 1998. Quel gruccione non era solo un animale migratore: era presenza, compagnia, mistero.
“Quelle visite hanno avuto per me un grande significato”, racconta oggi Lele. “Finalmente sono riuscito a scrivere un testo che parlasse di lui.”
È nato così Marragau, il nuovo brano del gruppo. Una canzone che spazia tra reggae e soul, affonda nelle radici e guarda al futuro, attraversa il sardo e il mondo.
In sardo, marragau è il nome del gruccione: uccello migratore dai colori accesi che ogni anno attraversa il Mediterraneo. Il suo piumaggio racconta deserti, coste, isole, città. Porta sulla pelle la memoria di chi parte, e forse torna. O forse no.
Nel brano dei Ratapignata, il gruccione diventa una metafora potente: è la lingua sarda che rischia di spegnersi, è un territorio venduto al miglior offerente, è un’identità che si dissolve nella modernità. Ma è anche possibilità. È canto che resiste. È memoria che ritorna.
Dopo il significato, c’è il suono. E anche qui, il gruccione lascia il segno.
Prodotta da Michele Palmas per S’ardmusic, Marragau mescola la radice reggae dei Ratapignata a un’anima soul più intima, più profonda. Una trasformazione sonora che non è solo estetica, ma emotiva.
“Ci siamo trovati subito su questo nuovo mood”, dice Pittoni. “Credo sarà la scintilla per nuove produzioni.”
Il risultato è un suono caldo, lento, riflessivo. Non cerca il tormentone. Cerca la verità.
Il videoclip — diretto da Tore Cubeddu e Paolo Carboni — è ambientato nel Teatro Massimo di Cagliari, un luogo simbolico della città. Si apre con un silenzio solenne. La band suona in un teatro vuoto. Lo spazio sembra sospeso, in attesa.
Poi, lentamente, arrivano gli altri. Attori, musicisti, danzatori, performer: Valentina Puddu, Arrogalla, Stefania Secci Rosa, Elio Arthemalle, Andrea Andrillo, e tanti altri. Una comunità. Un’invasione gentile.
Non è spettacolo. È riappropriazione. È un modo per dire: “Ci siamo. Questo spazio ci appartiene. E anche questa cultura.”
I Ratapignata sono dieci. Dieci persone che condividono palco, parole e battiti da più di vent’anni. E che oggi, ancora, suonano con la stessa urgenza di sempre.
“Ratapignata è un’esperienza umana prima che musicale”, dice Lele.
“Quando stai per salire sul palco e i tuoi compagni hanno ancora lo stesso sorriso di quando avevate vent’anni, capisci che non è finita. E che vale ancora la pena farlo.”
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