
Verso la metà del V Millennio a.C., in Sardegna si sviluppò una fase culturale che portò con sé una serie di innovazioni significative nei settori economico, funerario e manifatturiero. Questa fase è conosciuta come “cultura San Ciriaco”, dal nome di una chiesa situata a Terralba, nei pressi della quale sono state rinvenute ceramiche simili a quelle di Cuccuru e Arrius di Cabras. A differenza della precedente cultura Bonu Ighinu, le ceramiche di San Ciriaco mostrano una netta riduzione della decorazione, con pareti dei vasi più sottili e superfici finemente lavorate, che appaiono chiare e lucide.
Durante questo periodo, si osserva un incremento nell’allevamento di bovini e ovini-caprini, e le decorazioni delle ceramiche iniziano a includere rappresentazioni di animali cornuti, in particolare bovini. Tra i contesti funerari più emblematici della cultura San Ciriaco si trova la necropoli Li Muri di Arzachena, caratterizzata da sarcofagi in pietra realizzati con lastre verticali che formano una cista litica, all’interno della quale i defunti venivano sistemati in posizione inginocchiata. I ricchi corredi funerari e le sepolture individuali suggeriscono l’esistenza di una società gerarchica, con membri appartenenti all’élite.
È in questa fase che si assiste alla prima realizzazione delle Domus de Janas, piccole grotticelle ipogeiche scavate principalmente nella roccia sedimentaria. Queste strutture, a forma di celletta singola, ospitavano un corredo funerario che offre preziose informazioni sul modo di vivere di quelle antiche popolazioni. All’interno dei sepolcri troviamo eleganti statuine della Dea Madre che venivano posizionate nel palmo delle mani dei defunti, deposti in posizione fetale.
Questi monumenti funerari scavati nella roccia durante l’età della pietra, accoglievano insieme alle spoglie mortali un assortimento di ceramiche, oggetti, offerte e alimenti, destinati a accompagnare il defunto nel suo viaggio verso l’aldilà. A Putifigari, non lontano da Sassari e Alghero, si trova la necropoli di Monte Siseri, che ospita quattro Domus de Janas scavate nel tufo rosa, tra cui spicca S’Incantu, una straordinaria tomba dipinta risalente a oltre cinquemila anni fa, alla fine del Neolitico.
I dettagli scultorei, sia a bassorilievo che a tutto tondo, arricchiscono l’interno, già affascinante per la particolare colorazione di pareti e soffitto. Il pavimento è decorato con un bacino scolpito, composto da cerchi concentrici e una coppella centrale, mentre un rilievo perimetrale conferisce armonia al distacco dalle pareti verticali, tutte dipinte di rosso, simbolo di sangue e vita. Le pareti presentano due false porte, che simboleggiano il passaggio delle anime dal mondo terreno all’aldilà.
Il soffitto, sostenuto da due colonne squadrate decorate con simboliche teste di toro, è scolpito nella roccia vulcanica e imita la struttura lignea di un tetto a doppio spiovente, con una trave centrale e sette travetti trasversali dipinti di nero, intervallati da spazi di colore rosso-ocra. La parete opposta all’ingresso mostra una falsa porta con cornice, sormontata da triplici corna taurine estese per tutta la parete, per alcuni da interpretare come barche per il viaggio del defunto. Ai lati è incisa un’altra coppia di corna ad evocare il dio Toro che si unisce alla Dea Madre, rappresentata dalla domus stessa: il ventre fertile che donerà la vita. All’esterno della domus, nel bancone roccioso, sono scavate coppelle, vaschette e canalette, tutti simboli propiziatori della vita.
La foto della Domus S’Incantu di Putifigari è di Nicola Castangia
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