Sardegna e rinnovabili: chi decide il futuro energetico dell’Isola?

Energie rinnovabili

La Sardegna è diventata il teatro di una battaglia che non è solo politica, ma anche culturale, economica e profondamente esistenziale, una di quelle guerre a bassa intensità in cui i decreti ministeriali si scontrano con i consigli comunali, le multinazionali dell’energia con i pastori, e gli avvocati amministrativisti con i comitati spontanei nati su Facebook.

Il tema ufficiale è la transizione energetica, cioè il modo in cui l’Isola contribuirà agli obiettivi nazionali di decarbonizzazione, ma sotto la superficie la questione è ben più ampia: chi decide davvero il futuro di un territorio? Chi stabilisce quanta parte della Sardegna sarà coperta da pale e pannelli, e chi avrà il diritto di dire “no, non qui”? La partita si gioca tra Stato e Regione, tra imprese e cittadini, tra l’urgenza di produrre energia pulita e il timore che dietro l’etichetta delle rinnovabili si nasconda l’ennesimo ciclo di sfruttamento senza ritorni per la popolazione locale. E come sempre accade in questi casi, più si cerca una risposta chiara, più il quadro diventa caotico.

Un piano per la decarbonizzazione senza certezze

Tutto comincia nel 2021, quando il governo Draghi stabilisce che l’Italia deve accelerare sulla transizione energetica, fissando criteri per individuare le aree in cui costruire impianti eolici e fotovoltaici. L’annuncio è chiaro, il messaggio è positivo, la direzione sembra giusta. Ma, come spesso accade, tra la teoria e la pratica si apre un vuoto. Le norme attuative, essenziali per rendere il piano operativo, non arrivano. E mentre il governo rimanda, le aziende iniziano a depositare progetti, i territori si ritrovano senza linee guida e il dibattito tra sviluppo e tutela si accende senza che nessuno abbia regole certe da seguire.

Bisogna attendere la primavera del 2024 perché il ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto Fratin metta ordine. Ogni regione dovrà ora stabilire dove si potranno costruire impianti per la produzione di energia pulita, distinguendo tra aree idonee, ordinarie e non idonee. Alla Sardegna viene assegnato l’obiettivo di 6,2 GW entro il 2030, trasformandola in un tassello strategico del piano nazionale. Ma la decisione non risolve i problemi: se da un lato accelera la corsa alle rinnovabili, dall’altro alimenta tensioni tra istituzioni, aziende e comunità locali, facendo dell’Isola non solo un hub energetico, ma anche il centro di una battaglia politica e sociale.

La regione blocca ma il governo risponde

Di fronte all’ondata di nuovi progetti, che rischiano di essere approvati senza un chiaro piano territoriale, la Regione Sardegna interviene. Nel luglio 2024, la presidente Alessandra Todde vara la Legge 5, una moratoria che blocca temporaneamente tutte le nuove installazioni fino alla definizione di criteri certi per la tutela del territorio. Il provvedimento nasce dalla preoccupazione che senza regole precise l’Isola diventi terreno di speculazione, con multinazionali dell’energia pronte a impiantare turbine e pannelli senza un vero coordinamento con le esigenze locali.

La risposta del Governo è immediata: palazzo Chigi impugna la legge davanti alla corte costituzionale, sostenendo che la regione ha oltrepassato le proprie competenze. Ma la Sardegna non si ferma e, nel dicembre 2024, approva la Legge 20, che fissa i criteri per le aree idonee. Il nuovo piano regionale è estremamente restrittivo: solo il 2 per cento del territorio isolano viene considerato adatto per gli impianti, una percentuale che di fatto limita fortemente l’espansione del settore.

Poche settimane dopo, il governo Meloni impugna anche la Legge 20, ribadendo che l’autonomia regionale non può ostacolare gli obiettivi nazionali di transizione energetica. La decisione finale ora spetta alla corte costituzionale, che si pronuncerà ai primi di marzo del 2025, rendendo questo scontro istituzionale ancora più urgente e carico di tensione.

Protesta locale: rinnovabili o speculazione?

Mentre le istituzioni si scontrano, sul territorio monta la protesta. A partire dal 2023, decine di sindaci e centinaia di comitati locali denunciano il rischio di una trasformazione radicale del paesaggio sardo, con vaste aree agricole e pastorali destinate a ospitare impianti industriali. I comuni iniziano a ricevere un’ondata di richieste per nuovi progetti, spesso presentati senza alcun confronto con le comunità locali.

La risposta è immediata: nascono movimenti di opposizione, si organizzano manifestazioni e si avviano campagne di sensibilizzazione. Il 2 ottobre 2024, oltre 211.000 firme vengono consegnate al consiglio regionale in sostegno della proposta di legge popolare Pratobello 24, che chiede di dichiarare l’intera Sardegna non idonea agli impianti. Tuttavia, la proposta viene messa in stand-by, mentre la regione preferisce procedere con la più moderata Legge 20.

Futuro incerto tra leggi e ricorsi

Il futuro delle rinnovabili in Sardegna rimane incerto, condizionato da fattori che ne rendono imprevedibile l’evoluzione. L’assenza di un piano energetico regionale aggiornato, fermo al 2016, crea un vuoto strategico che ostacola una programmazione chiara. La questione del gas, promosso dal governo nazionale come fonte di transizione, incontra una forte opposizione locale, dove viene percepito come un passo indietro anziché un’opportunità. Nel frattempo, il Tar del Lazio dovrà pronunciarsi sui ricorsi delle aziende energetiche, che contestano le restrizioni regionali e rivendicano maggiore libertà nella scelta dei siti per gli impianti.

La Sardegna si trova così al centro di uno scontro che va oltre i confini locali e tocca il tema più ampio delle autonomie nella gestione della transizione ecologica. Il governo punta a un rapido sviluppo delle rinnovabili, anche a costo di superare le resistenze territoriali, mentre la Regione e le comunità locali rivendicano il diritto di decidere dove e come installare gli impianti. La sentenza della corte costituzionale, attesa per marzo 2025, e gli esiti dei ricorsi amministrativi saranno determinanti, ma il vero nodo resta politico: la transizione energetica deve essere imposta dall’alto o condivisa con i territori? E, in caso di conflitto, chi ha l’ultima parola?

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